In dialogo coi grandi filosofi del passato e con la scienza del suo tempo, studioso e grande conferenziere, di fine logica e di pensiero complesso,insignito del Nobel per la letteratura (1927), Henri Bergson (1859-1941) affronta in quest’opera il problema del dualismo che è la questione della filosofia moderna, “Materia e memoria” dove in realtà la congiunzione diventa copula, “materia è memoria”.
Cartesio contrapponeva il pensiero alla materia, res extensa e res cogitans, l’io e la materia, l’uomo e l’animale, il corpo e la mente; e in mezzo l’abisso (kasma). Bergson corre verso l’Uno. Prende la strada spinoziana, coscienza dell’io senza io, di natura naturans, concezione del pensiero che non è più antropocentrica.
Fa saltare la contrapposizione di soggetto e oggetto, da cui Cartesio era partito: qualcosa davanti a me che si contrappone a me, di cui io dubito. Vedo capelli di quella signora, saranno rossi come appaiono? Ma il dualismo va risolto. Per Berkeley esistevano solo idee, idee particolari, ogni cosa con la propria idea, non la materia. Secondo Kant esiste l’io trascendentale, la cosa in se è inaccessibile pur corrispondenta all’idea.
Bergson parte dall’esperienza che è sempre fare esperienza di qualcosa. L’esperienza è l’accadere, senza soggetto o oggetto, pura immagine, prima che nasca l’io, prima che nasca la cosiddetta realtà. L’universo non è osservabile da fuori, ma a distanza, è sempre un ulteriore passo nel mondo.
Memoria è l’io che permane, che torna su se stesso, autocoscienza, riflessione infinita. Un conoscere che è modo, un conoscersi da sempre, da sempre presso le cose. Guardo la lampada ma dentro una situazione complessiva. La realtà è materia in movimento (mouvant) e indivisibile (indivisible), Uno, un solo e medesimo atto.
L’uomo è l’esere biologico con le sue esigenze, materia che è virus e stella. Noi abbiamo bisogno di strutturare l’esperienza come usiamo dei sassi per attraversare il torrente e trasformiamo l’esperienza in soggetto e oggetto, in corpi solidi e accidenti.
Bergson critica le teorie concezioni neurologiche che localizzano la memoria in un’area cerebrale, oggi definita come mind body problem. Cartesio risolveva il problema ricorrendo alla ghiandola pineale posta nel cervelletto.
Come passare dall’estensione all’inesteso, come colmare l’abisso che per definizione è incolmabile? La fenomenologia (Husserl) diceva che ogni coscienza è coscienza di qualcosa; la correlazione è all’origine mentre la separazione è arbitraria. Per Bergson ogni cosa è coscienza, restituita alla sua immediatezza.
Bergson dialogava con la scienza, con la ormai affermata psicologia e con la fisica che si annunciava “quantistica”. Dialogava con Faraday e Maxwell che parlavano di atomi, onde, velocità della luce, campi elettromagnetici, energie. Si trovava davanti a dimensioni di microcosmo e macrocosmo prima inimmaginabili e la visione sostanzialistica della materia andava licenziata.
Natura e memoria necessitano di una nuova metafisica, pensa Bergson. Cambiare i concetti, meglio quelli aristotelici di energheia e entelechia. Non si distingue il fare dal ciò che è. La materia è memoria, la materia è intelligenza. Non sostanza o cosa, ma atto in atto, uno in intensità diverse, in risonanza. L’universo è infinita conversazione. Memoria è il passato che si iscrive nel presente e il presente che risucchia il passato. Ogni cosa che fa di altra cosa un ricordo di se.
Carpi, Festivalfilosofia, 18 settembre 2015