Estate 1990. Le notti magiche del mondiale giocato in casa. Il poster in cameretta, la maglia della nazionale presa con i punti della Ferrero. Palloni che sbucavano ad ogni angolo della strada
E poi c’era lui. Partito da ultima pedina d’attacco, nel giro di un paio di partite si è rivelato il salvatore della patria. Un gol a partita e una scia di positività e leggerezza che hanno risolto i problemi di una squadra fortissima da metà campo in giù, ma con le polveri bagnate davanti.
Per tre settimane dove c’era un pallone in area lui era lì sempre al momento giusto. I giornali, i bar, il curato all’oratorio, il medico della mutua, il sindaco, tutti parlavano di Totò Schillaci. Chi scrive aveva otto anni, e doveva districarsi con la TV in bianco e nero della nonna per capire l’andamento della partita della nazionale. Ma l’icona di quegli occhi sbarrati al cielo, simbolo di un urlo spezzato in gola che ancora oggi fa male pensando a come è andata a finire, resterà per sempre marchiato a fuoco nell’animo di chi era bambino.
Erano i nostri mondiali, eri il nostro eroe, e adesso non ci sei più. Con le lacrime agli occhi vado a rispolverare la maglietta presa con i punti di “vinci campioni”, la stringo forte e mi viene subito in mente il gol con l’Austria. Io mi fermo qui. Troppi ricordi, troppe lacrime.