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Napoli città d’arte, città aperta all’arte, arte al chiuso nei suoi ricchissimi ventri tufacei, e all’aperto, per strada, grazie all’arte adesso il mare bagna Napoli anche nei bassi dei vicoli più stretti e bui dove regna l’odore del “buattone“, grazie all’arte a Napoli ‘a nuttata è passata ed ora comincia a splendere il giorno, l’Eduardo che urlava ai giovani “Fujtevenne ‘a Napule” è stato soppiantato da una generazione di artisti che, a partire dagli anni 70, hanno invitato a restare e combattere per cambiare, da allora l’artista è diventato un operatore culturale, un Masaniello redivivo, “Oggi voglio parlare”, “C’ho il popolo che mi aspetta, e scusate vado di fretta”.

Oggi a Napoli in piazza del Municipio si inaugura un’installazione di arte contemporanea del maestro Michelangelo Pistoletto, uno dei maggiori artisti italiani contemporanei, che porta in piazza una delle opere più rappresentative del nostro 900, “La Venere degli Stracci”, del 1967, riproposta in formato maxi rispetto all’originaria. Opera che interroga, ognuno può dare la sua interpretazione sulla contrapposizione tra gli stracci e la Venere, due simboli opposti uniti in un unico abbraccio. Nel ’67 era nata come contestazione e rigetto della “civiltà” del consumismo che inonda il mondo di stracci da rifiuto, un usa e getta in contrapposizione ai valori eterni ed universali rappresentati da Venere, che non è solo bellezza fine a sé stessa, ma è Amore, Attrazione, Memoria, Verità, kalòs kai agathòs, il bello ed il buono, etica ed estetica a braccetto degli antichi greci che la greca Neapolis ha conosciuto, perso, ed oggi vuole riconquistare.

Nel ’67 la chiamarono Arte Povera, spesso faccio molta fatica e capire l’arte contemporanea, quest’opera e tutto Pistoletto no, avverto (a modo mio, ma credo sia anche l’intento dell’artista) di sentirmi parte di quella composizione, autore e coautore come il maestro già aveva inteso con i suoi quadri specchianti, e allora il mio pensiero si sposta da quegli stracci simbolo degli scarti della nostra opulenza, ai nuovi scarti della nostra società rappresentati da persone, a chi non ha niente ed è esso stesso straccio, a chi è talmente povero da aver lasciato la propria esistenza, magari in mare, e come unica memoria restano quegli stracci vuoti senza corpi e senza vita: gli stracci non sono più solo i rifiuti della (in)civiltà del consumo, ma simbolo del vuoto a perdere lasciato dalla morte di chi li vestiva.

Ho anche pensato che l’installazione guarda il mare, e Napoli non dimentica lo spirito d’accoglienza e solidarietà che l’ha contraddistinta per secoli. In un gioco di corsi e ricorsi di vichiana (napoletana) memoria, l’installazione potrebbe riprendere anche le opere di Pistoletto di metà anni 60, che andavano sotto il nome di “Oggetti in meno”, opere che presentavano dei vuoti, degli stacchi, delle soluzioni di continuità: mi è facile pensare, ancora una volta, a chi non può partecipare al completamento dell’opera di un mondo ed una vita dignitosa, ai buchi che costoro lasciano nella (in)civiltà della crescita illimitata. Ecco, mi piace pensare che la Venere appoggiata a quegli stracci, ci inviti ad avere un atteggiamento diverso nei loro confronti, ad avere venerazione anche per loro, a venerarli come e più degli idoli pagani che depredano il resto della società unicamente per i loro interessi e tornaconti.

Inoltre, curiosità numerologiche, che a Napoli hanno sempre il loro perché. Il maestro M. Pistoletto ha compiuto 90 anni pochi giorni fa, il 25 giugno scorso, (e il 90 non gli fa paura, anzi è in splendida forma, sembra uno Sean Connery versione biellese), il 24 giugno è stato il giorno in cui è iniziata l’installazione dell’opera, ed oggi 28 giugno si inaugura l’opera: altresì, il 24 giugno è anche il giorno in cui si festeggia San Giovanni il battezzatore. Cosa c’entra San Giovanni con l’opera? Direttamente nulla, tuttavia ho pensato che è l’unico insieme a Cristo e a alla Madonna di cui si festeggia la nascita e la morte, il che vorrà pur dire qualcosa. E infatti per Matteo “Tra i nati di donna non è sorto mai nessuno più grande di Giovanni il Battista”, ed a lui le folle, i publicani ed i soldati chiesero “Cosa dobbiamo fare?”, domanda non da poco per chi vuole ribellarsi all’omologazione di un conformismo da eterodiretti iperadattati che ci rende così cinici da abituarci alle ingiustizie e alle sue morti. E Giovanni rispose: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”, ed ho pensato a quanti brandelli di tuniche ci fossero in quella montagna di stracci, e soprattutto a quante avrebbero potuto non essere lì, vuote di vita. E ho pensato alle tuniche come metafora di condivisione, di aiuto per salvare vite, per vivere la compassione, per non ridurre tutto a profitto e spietatezza generatori di mucchi di stracci senza vita, per provare che non puoi star bene se il mondo intorno a te sta male.

A tre chilometri di distanza da Piazza del Municipio, a Mergellina, c’è la tomba di Leopardi, che nei Paralipomeni della Batrocomiomachia (scritti a Napoli) avvisava, in metafora, che la vera rivoluzione e salvezza per la nostra umanità non viene dai topi modaioli tutto ciance, e che appena c’è da combattere fuggono “al par del vento, al par del lampo”, bensì da gente come il Conte Leccafondi, uno che ha studiato, imparato, si è confrontato, e di fronte alle difficoltà non scappa ma cerca la salvezza stringendosi insieme gli altri in una “social catena” di uomini nobili dotati di virtù non eroiche ma civili. Lasciando libero campo ai pensieri, mi sovviene che negli anni 70 Pino Daniele forma il suo primo gruppo, insieme al bassista Rino Zurzolo e il sax Enzo Avitabile, orientato al jazz-rock, e che chiamerà proprio Batrocomiomachia.

Napoli, Maronna quanti incroci culturali e pensieri in libertà! E sento già una voce salire dentro di me, “Pensa de meno, e laùra de piö!”: spero se la porti via la brezza del mare.

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