Biondi immobiliare

Fa sempre impressione e suscita invidia quando dalle mura, superati gli spalti di S. Giovanni, si getta lo sguardo sul Monastero Matris Domini. L’occhio gradisce quella misurata costruzione, quasi un pezzo di presepio fatto di chiesa, campanile, casa e muretto che abbraccia l’oasi verde. E’ lì almeno dal 1258. Ha resistito agli assalti della città moderna. In segno di rispetto il Comune, nel piano regolatore, ha protetto le suore domenicane di clausura da occhi indiscreti provenienti dai caseggiati prospicienti imponendo facciate senza finestre. Trascinati dalle nostre abitudini non è facile notare quel particolare, se qualcuno non ce lo segnala.

Arrivarono una ventina d’anni dopo la scomparsa di San Domenico di Guzman. Il Santo spagnolo viene ricordato per le sue infaticabili dispute con i temuti e irriducibili Catari o Albi, i puri, che vedevano il mondo come opera del maligno, le città commercio di corruzione, il corpo fonte di peccato. Lui aveva cercato il dialogo, un lavoro di convincimento e di persuasione fin dalla prima volta che aveva convertito un oste dopo una lunga notte di confronto. L’ordine che da lui nacque si caratterizzò per una forte preparazione dottrinale e per una allenata capacità di comunicazione. Fu l’Ordine dei Predicatori, O.P. Lui viene raffigurato – come nella statua di Giovanni Avogadri sulla facciata della Chiesa di San Bartolomeo – con un libro in mano e una fiaccola, la fiaccola della fede in testa. Eppure il gesto simbolico che aveva accompagnato la sua conversione era stato tutt’altro, quello di vendere i suoi preziosi libri per dar cibo agli affamati: “Perché devo studiare su queste carte mentre in strada i miei fratelli muoiono di fame?” Ai libri sarebbe ritornato per combattere l’eresia. Il potere politico e religioso del tempo usò però altri mezzi ben più sbrigativi ed efficaci.

A Bergamo i confratelli di Domenico si insediarono in una casa prima di Porta S. Giacomo, demolita in concomitanza con la costruzione delle Mura venete. Una targa la ricorda. Da lì si trasferirono in città bassa in un convento lasciato libero dagli Umiliati (1562).

L’accesso al convento femminile di Matris Domini da via Locatelli è un atrio che accoglie e aiuta a raccogliere l’animo. La facciata è spoglia. Aperto il portone, c’è un passaggio, poi si è in chiesa. Una cancellata separa la sala dall’altare marmoreo barocco con la nicchia della vergine Maria e gli scanni delle monache a lato. Quando sono entrato era deserta ma ho subito avvertito voci di una qualche presenza. Presto sono apparse loro, sei monache in abito bianco e il cappuccio nero e si sono disposte in pari numero a destra e a sinistra. I gesti erano rituali prima del rito. Ho provato quella riverenza che mia mamma da piccolo mi insegnava a tenere davanti al prete. I rivoluzionari francesi le avrebbero forzate a uscire e liberarsi, noi oggi preferiremmo interrogarle.

Tra i dipinti alcuni ci parlano dell’Ordine di San Domenico. All’altare laterale dedicato alla Madonna del Rosario c’è la pala della Madonna con il manto aperto e sotto, al riparo, i frati domenicani. All’altare dedicato a San Gerolamo Emiliani la pala è incastonata in un’elegante architettura marmorea (Costantino Gallizioli, 1720-1799) e tra i santi è raffigurato l’illustre Tommaso d’Aquino. Ci sono pannelli riguardanti il primo loro martire, Pietro da Verona, all’altare della Pietà. A quello di Sant’Alessandro si vede la prima santa domenicana del nuovo mondo, Rosa da Lima (foto sotto), peruviana almeno, se non proprio india.

 

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