«Arriva l’oritteropo» di Jessica Anthony,
traduzione di Dario Diofebi e Martina Testa
Usando un mix sapiente di satira politica, romanzo storico, commedia degli equivoci e ghost story, Jessica Anthony ci consegna una riflessione profonda sull’Occidente, sulla nostra volontà di dominazione e di controllo, sui nostri apparati di repressione, e un monito sulla potenza del mondo della natura, dell’eros, dell’immaginazione e del mistero.
LA TRAMA DEL LIBRO
Ad Alexander Wilson, giovane e rampante deputato repubblicano con un’elezione da vincere (e una relazione gay da nascondere), viene recapitato a sorpresa un oritteropo formichiere impagliato: un curioso mammifero africano con la proboscide da formichiere e le orecchie da coniglio. Parte così un romanzo incalzante e imprevedibile, che segue da un lato, nella Washington di oggi, le tragicomiche vicende di Alex, a cui il bizzarro dono rischia di rovinare la carriera; dall’altro, nell’Inghilterra vittoriana, la storia di Titus Downing, l’imbalsamatore dell’oritteropo, perseguitato a sua volta dal fantasma di una relazione clandestina. L’incrocio di destini fra un oritteropo formichiere (aardvark in inglese) e due uomini ambiziosi e repressi diventa una riflessione profonda sulla nostra volontà di dominazione e di controllo, e un monito sulla potenza del mondo della natura, dell’eros e del mistero.
COME INIZIA IL ROMANZO
Una massa turbinante di vapori si sprigiona, viaggia nello spazio per un’eternità finché si scontra con un’ellisse che non molla la presa e, dopo un’altra eternità, il vapore si riscalda e crea nuvole di fuoco, intrappolate dalla gravità, che girano e girano finché queste nubi bollenti, accettando il loro destino, si raffreddano in un’unica crosta che qua e là si spacca, ed ecco che viene fuori la lava, che si spande, ma ci sono anche dei punti in cui la lava in espansione non riesce a liberarsi e allora si mette a premere (la lava) contro sé stessa e ta-da!: montagne, altro vapore che viene su attraverso la crosta, che incontra l’aria, e d’un tratto diventa acqua, tanta acqua, e questa tanta acqua si scontra con la lava bollente, e si innalza uno sbuffo di vapore, come una lunga piuma, e sono queste piume acquee che si innalzano e ricadono giù a ripetizione che creano gli oceani, e dentro gli oceani ci sono enormi fosse fiancheggiate da isole, che sono formazioni di roccia create dal raffreddamento di vari tipi di lava bollente sbrodolata in modo osceno sulla crosta, che nel frattempo è diventata un intero globo di grovacca e selce impossibile da mappare, e il sole risplende su queste acque fin quando, nelle secche costiere, negli atolli e nelle piattaforme continentali, trascinati dalla corrente, ecco che spuntano i flagellati, il plancton e il fitoplancton, tutti tesi, in numeri infiniti, a sbattere e rotolare sul fondale, che a questo punto è ricoperto di alghe e brachiopodi e spugne vitree che somigliano a sacchetti, finché non arrivano i copepodi, il krill e le meduse, le larve di granchio, gli pteropodi, le salpe e gli eteropodi, e i vermi – dio mio, i vermi freccia, qualcuno dovrà occuparsene di ’sti cavolo di vermi freccia – ed ecco che arriva il pesce scoiattolo, arriva la cicala di mare, i pesci piatti/lanterna/accetta, arriva la minuscola seppiolina, e a qualcuno spunta una coda, e tutti hanno un guscio e una bocca, e inghiottono di tutto, e ingrassano fino a diventare pesci, e questi pesci belli grassi si allungano, nuotano meglio, e fanno un vero casino in giro per i mari, e alcuni di questi pesci a forza di vivere ai bordi di queste zone di acqua bassa cominciano a sbattere il muso contro il terreno, e gli vien voglia di asciugarsi, di uscire sulla terraferma, ed ecco!, inizia la Grande Ascesa, e guardali lì quei vertebrati tetrapodi ectotermici come vanno!