Dal paese delle aquile a quello dei poeti, dei santi e dei navigatori. Più prosaicamente dalla dittatura comunista alla democrazia. E’ la storia di Bejico Fatmir (53 anni) che, fuggito dall’Albania nel 1991, ha ottenuto la cittadinanza italiana, giurando sulla Costituzione nel municipio di Sedrina davanti al sindaco Stefano Micheli. Diventare cittadino italiano lo riempie di gioia. Dice che mentre andava in Comune ad ufficializzare l’iter gli sembrava di volare. Altro che tre metri sopra il cielo: chilometri oltre le nuvole. Gli ci sono voluti 24 anni per avere sulla carta d’identità la parola “italiano”. Anni di lavoro e di sacrifici lasciandosi alle spalle un passato dalle tinte grigie. “Sono nato a Durazzo sotto il regime di Enver Hoxha dove “desiderare” non era permesso. A quel tempo l’Albania era un paese chiuso come un carcere. Sognavo l’Italia, la sua libertà. Non aspettavo altro che di prendere il largo nel Canale d’Otranto e ricominciare una vita a poco più di settanta chilometri da qui”. Certo, gli interrogativi erano tanti e affrontarli era, ogni volta, come un incontro di pugilato contro se stessi. Domande che non trovavano risposta mentre lavorava per 350mila lire al mese come meccanico nelle ferrovie albanesi. A 29 anni, il 5 marzo 1991, Bejico ha deciso di imbarcarsi su una nave (si chiamava Tirana) diretta a Brindisi. Non gli piace ricordare quelle ore stretto fra l’inquietudine del futuro e la paura del presente. Con lui altri albanesi, alcuni amici, altri perfetti sconosciuti. Tutti con la medesima speranza di un riscatto esistenziale. Mettere piede sul suolo italiano è stato l’inizio di un sogno, oppure la fine di un incubo. Questione di punti di vista. “Adesso che ci penso posso dire che mi andata bene. In Italia, nonostante non sapessi la lingua, mi hanno accolto senza farmi pesare la mia condizione di fuggitivo. Mi hanno trattato bene. Ero, però, consapevole che toccava a me meritare quell’accoglienza”.
La voglia di lavorare, di mettere a disposizione le sue competenze in fatto di motori sono stati per Bejico un lasciapassare. Trascorre un mese e mezzo nelle campagne di Monopoli aggiustando motozappatrici. Poi con un pullman è giunto a Dalmine. “Il Comune – racconta – mi ha dato un appartamento a Mariano. Stavamo in quattro in quella casa e ci arrangiavamo con lavori saltuari di ogni tipo finché non ho trovato un’occupazione stabile a contratto indeterminato come asfaltista. Il mio primo stipendio superava il milione e 500 mila lire. Roba da non credere. Questo mi ha permesso, nel 1994, di prendere un appartamento in affitto tutto per me ai Ponti di Sedrina che allora era una località nel Comune di Brembilla”. Bejico è sposato. Sua moglie l’ha raggiunto nel 1999. E’ padre di due figli. “Sono meravigliosi. La bambina ha 15 anni e il bambino 12. Studiano e mi regalano tante soddisfazioni”. Definisce la sua storia “lunga e con i piedi per terra” come tutte le storie di albanesi onesti venuti in Italia. “Dove c’è lavoro, c’è vita”. Ormai l’Albania sembra quasi spersa nei ricordi. Nemmeno il mare di Durazzo pare emozionarlo più. “Per le ferie andiamo a Grado in Friuli Venezia Giulia. Bellissimo posto”. Per il sindaco Micheli il racconto di Bejico dà un’opportunità di riflessione per quanto riguarda l’importanza di essere cittadini italiani ed europei. “Spesso lo diamo per scontato, ma ci sono persone che mirano a diventare cittadini italiani. Dobbiamo pertanto esserne fieri testimoni di questo dono che abbiamo ereditato: quello di essere, appunto, cittadini di uno stato democratico e libero”.