Nella filosofia di Tommaso è fondamentale il concetto di “partecipazione”. Con tale termine si intende il modo attraverso il quale le cose esistono, e, grazie a Dio, prendono parte all’essere: “allo stesso modo che quanto è infocato e non è fuoco, è infuocato per partecipazione, così ciò che ha l’essere e non è l’essere, è ente per partecipazione”.
È fondamentale precisare che quando Tommaso usa il termine “essere” riferito alle cose egli non intende attribuire a tale concetto lo stesso significato attribuito all’essere quando è rivolto a Dio. L’essere di Dio non è lo stesso essere delle cose, ma è solo simile. È questo il principio dell’analogicità dell’essere, un principio che Tommaso prende da Aristotele ma che in lui ha un valore del tutto diverso. Aristotele aveva distinto diversi significati dell’essere ma solo in relazione alle varie categorie e li aveva tutti uniti nell’unico significato che è quello della sostanza. Per cui non distingueva, ne avrebbe potuto farlo, l’essere delle cose dall’essere di Dio. Tommaso, invece, grazie alla distinzione tra essenza ed esistenza, distinse l’essere del creato dall’essere di Dio. I due tipi di essere non sono identici, univoci, ma neppure semplicemente diversi, equivoci. Sono piuttosto simili, analoghi, anche se di proporzioni diverse. Dio solo è l’essere per essenza, le creature hanno l’essere per partecipazione. Le creature sono simili a Dio, ma Dio non è simile ad esse: è il rapporto di analogia.
La tesi della diversità, pur nella somiglianza, delle cose create da Dio consente a Tommaso di garantire l’assoluta trascendenza di Dio rispetto al mondo. È quindi evidente la distanza incolmabile della sua filosofia da quella panteistica, che invece vede Dio immerso nel mondo, tra le cose. Contro il panteismo il filosofo oppone il principio che Dio non può in alcun modo entrare come elemento componente delle cose del mondo.