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Qualche anno fa concetti di Patria, Stato e Nazione erano distinti ma paralleli, ora si stanno disgiungendo, in particolare quello di Patria. Si scivola verso un senso di parte.

La nostra identità è in continuo movimento, quella collettiva e quella individuale, così come ad un’identità ereditata se ne aggiungono altre e si perdono riferimenti tradizionali, vincoli di parentela, appartenenze sociali o politiche. Si insinuano le tentazioni di mascherarle con i colori dell’ideologia.

Dalla caduta del Muro di Berlino è passata una generazione. Era nata la prospettiva del traguardo certo, quello della democrazia vincente e destinata a imporsi sul pianeta. Invece la guerra alle porte e le turbolenze ormai quotidiane ci stanno risvegliando come da un sogno.

Due occorrenze evidenziano il passaggio: qualcosa di infinitamente piccolo, il virus, e di straordinariamente grande, la bomba.

Il covid ha minacciato di morte tutti nello stesso momento come mai era successo. Noi rinchiusi in casa, interrotti i legami, i giovani isolati nel momento dell’agognata libertà, i vecchi messi da parte coi frutti delle esperienze da trasmettere, addirittura retrocessi nel diritto di vivere a vantaggio di chi era più giovane.

La bomba è uscita dagli arsenali di guerra. La bomba aveva segnato un equilibrio tra le potenze, sotto la minaccia della distruzione. Il benessere o la libertà si reggevano su un limite oltre il quale non ci sarebbe stato né benessere né libertà, semplicemente perché non ci sarebbe stata più vita. Equilibrio di superpotenze opposte.

Anche la democrazia si regge sul senso del limite. Il mio diritto si ferma davanti al tuo, ci sono regole da rispettare. Il disegno costituzionale si basa su regole che sono dei limiti a vantaggio della coesistenza pacifica. Ora di nuovo la bomba minaccia. La forza sembra prevalere sul diritto e i rischi di guerra crescono. Nella crisi di Cuba si era vicini al conflitto nucleare, il 50% di rischio. Prima del conflitto ucraino, secondo la CNN, la probabilità era al 5%, se la Nato entrasse arriverebbe al 90%. Viene meno la giustificazione morale della deterrenza.

La democrazia è in crisi. Ciò che consideravamo acquisito sta venendo meno. Ciò che pensavamo universale e definitivo, ora è solo accidentale. Lo jihadismo ci ha colpito nella quotidianità, nella libertà della strada che è la forma spicciola di democrazia. Ci accorgiamo che una parte del mondo non ha mai avuto i nostri valori, né li ha, anzi li contesta. Peggio ancora, una parte di noi non trova più motivi per difenderli.

Putin già nel 2018 in un’intervista affermava che “non per forza di cose la democrazia deve essere liberale”. Non conta più che il potere sia soggetto a controlli, il diritto di “alzare la mano” cioè di opporsi. La democrazia si basa sul controllo, il controllo degli atti giurisdizionali in base alla Costituzione, quella Costituzione scritta da noi sobri, si potrebbe dire, per proteggere anche noi da noi stessi quando siamo ubriachi. Non conta per Putin la stampa che offre al cittadino la possibilità di tener d’occhio Il potere.

Chiediamoci il perché del passo di Putin che lo ha portato fuori dal concerto dei grandi leader mondiali. Perché si è isolato? Lo sbaglio dell’Occidente è stato di considerare la Russia, dopo la fine dell’URSS e priva degli Stati satelliti, una potenza ridotta, “potenza regionale”. Ci siamo dimenticati del passato. Da secoli la Russia – i Romanov hanno governato 300 anni – è vissuta immaginando per sé un destino imperiale. Un respiro di missione nel mondo sta nell’animo russo e Putin l’ha risvegliato. L’orgoglio ferito del popolo russo, minacciato nella propria coscienza in un’identità al di sopra delle varie culture di appartenenza, ha risposto al capo. Per di più Putin ha trovato una rendita con il suo gesto, si è fatto campione dei nemici dell’Occidente, dei nuovi nemici della democrazia.

Ha fatto scuola. Insegna che in tempi di crisi il potere va rafforzato, i meccanismi decisionali vanno ricondotti al centro, le troppe garanzie appesantiscono e rallentano quel che c’è da fare. “Se voi mi scegliete, lasciatemi governare” ripetono i suoi emuli. Il vero leader non ha eredità o freni storici. Più che dialogico o tattico è performante, agisce con istinto e forza. “Io governo a nome vostro. Alla fine del mandato vado a casa? Non se ne parla. Senza di me tutto si perderebbe”.

La democrazia coi suoi attrezzi sembra abbia fatto il suo tempo. Le crisi hanno inciso. Così la gente che non va più a votare, sente che i rappresentanti sono eletti da una minoranza, e le disuguaglianze crescono invece di diminuire. Il nostro sistema democratico è sotto minaccia. Le belle parole servono solo i garantiti.

Addirittura il decisionista si presenta come chi si prende cura veramente degli svantaggiati. Il miliardario Trump ringrazia per la sua vittoria i dimenticati dalla democrazia, gli emarginati, disprezzati dai radical chic. Lui è il portatore del risentimento popolare. Lui, il diverso che non fa parte della casta, è in grado di denunciare le consorterie. E sfrutta il risentimento.

La democrazia è in pericolo, ha bisogno di noi. La generazione dei nostri padri, all’indomani della fine della guerra, ha costruito una rete di regole e istituzioni per tutelarci, quasi non fidandosi di noi. Abbiamo una storia alle spalle, possiamo tradurla in peso politico. Offriamo il nostro contributo. Animiamola nelle associazioni di cui è ricca la nostra vita sociale. Non sono le élite che la salveranno, ancora soggiogate dal verbo della semplificazione, ma noi con il nostro impegno. Oggi, con il vento che spinge contro, torniamo a guardare le parole, perché dietro le parole ci sono concetti, e dietro i concetti la vita.

sintesi della relazione di Ezio Mauro
PATRIA, STATO, NAZIONE
Bergamo Liceo Mascheroni, 3 dicembre 2024 
all'interno del Programma Noesis 2024/2025

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