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Basterebbe il titolo, bellissimo, di questo bellissimo libro per cogliere al volo l’importanza e l’attualità (paradossale) di questa pubblicazione. Chi conosce Gabrio Vitali, antropologo culturale, docente di letteratura, autore promotore divulgatore di poesia (mai la sua), uomo di grande cultura, sa che questo testo Poesia che fa civiltà prima o poi sarebbe arrivato. A riempire vuoti e interrogativi sul senso e sul significato di fare poesia oggi. Chi conosce Gabrio Vitali sa che avrebbe potuto scrivere tanti e tanti libri sulla filosofia del linguaggio, sul ruolo dell’individuo nella società, sulle contraddizioni della politica, sui miti nella poetica e nella realtà.

Invece, al netto di una vasta e generosa attività culturale in favore della poesia e dell’opera letteraria (rassegne, convegni, premi, manifestazioni e itinerari editoriali) tutti in favore di autori e talenti emergenti ma lontani dal mercato editoriale, ha firmato, autorevolmente, “solo” tre libri: nel 1994 Tessiture-Viaggi dentro antiche storie, nel 2019 Odissei senza nostos, nel 2020 Sospeso respiro.  Poesia di pandemia.  

Ora, Poesia che fa civiltà potrebbe far pensare che l’autore abbia realizzato una sapiente sintesi del suo sapere, del suo pensiero.  Una sorta di “summa vitaliana” che condensa acute analisi letterarie, intelligenti riflessioni che coinvolgono l’azione sociale intrecciando politica, religione, relazioni.  Questo volume troverebbe una opportuna quanto giustificata collocazione nei programmi per le scuole superiori e nei corsi universitari, quale ideale supporto pedagocico-formativo.
Sono tre, differenti e complementari, le parti che compongono il libro, più una quarta, breve, di carattere autobiografico. La prima testimonia il valore fondativo della poesia nella civiltà, attraverso un fine raziocinio analitico con lungimiranti prospettive e soluzioni che dalla creazione letteraria intersecano gli aspetti interiori e evolutivi dell’individuo.

Basti questa citazione:La poesia, in versi o in prosa che sia, è  prima di tutto un’operazione sul linguaggio: essa trasforma in fatto linguistico (poiein, come si sa  vuol dire “fare “) e cioè in qualcosa che prima non c’era, come un fatto appunto, un pezzo grande o piccolo dell’esperienza umana del mondo e la consegna a chi legge come qualcosa che gli appartiene, che è anche sua. Lo inserisce,  insomma,  nel flusso culturale e antropologico della civiltà umana. Gliene da’ piena consapevolezza”.  Esemplare poi il capitolo dedicato a La complessità antropologico-politica della poesia di Dante di estrema attualità, che lascia intravedere interessanti chiavi di lettura per la nostra realtà odierna, contraddittoria squilibrata, drammaticamente abnorme nella sua effimera globalizzazione.

La seconda focalizza l’attenzione, non solo letteraria ma anche storica con raffinata introspezione psicologica, sulla figura e sull’opera dei numerosi poeti contemporanei conosciuti e frequentati personalmente. Riservando a ognuno di loro uno specifico capitolo. La terza chiude idealmente il cerchio sulla valenza esplosivamente utile della poesia e letteratura in generale, per la parabola esistenziale di tutti e per la sopravvivenza del nostro disumanizzato pianeta, con illuminanti approfondimenti su due grandi filosofi-antropologi del nostro tempo: Edgar Morin  e Mauro Ceruti. 

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