“Tasselli di vita quotidiana nelle scuola elementare degli anni Trenta” è stato il tema della relazione che l’amico Mario Fiorendi, già dirigente scolastico, soprattutto studioso del cattolicesimo sociale nella storia recente della Chiesa di Bergamo tra l’Ottocento e il Novecento, ha tenuto recentemente nella Sala Galmozzi di Bergamo, presso l’Ateneo di Scienze Lettere e Arti di Bergamo.
La forza delle copertine
Lo strumento dell’indagine utilizzato, per comprendere la funzione educativa della scuola in quel periodo, soprattutto nei suoi intrecci con l’ideologia fascista e le teorie filosofiche (riforma Gentile), come pure nella relazione tra pratiche politico-amministrative, pedagogia e didattica, è stato il quaderno a righe e a quadretti (più grandi nel primo ciclo, per favorire l’addestramento alla bella scrittura) in uso nelle classi elementari. Non quaderni qualsiasi, ma, per la precisione, quelli prodotti dalla cartiera Pigna di Alzano Lombardo, sulle sponde del Serio, conosciuti e distribuiti su tutto il territorio nazionale. L’intuizione della Pigna – di curare in modo particolare le copertine dei quaderni, resi accattivanti e attraenti da messaggi iconici in linea con i cambiamenti della società e i costumi anche politici del periodo – si rivelò vincente. Mario Fiorendi, difatti, ha preso in considerazione soprattutto le copertine, dagli straordinari effetti di propaganda, sempre ben curate, colorate, recanti immagini portatrici di una funzione sociale: disegni in stile deamicisiano mettono in evidenza i valori e le espressioni della famiglia, della nazione e della patria, come pure della pratica sportiva che deve formare l’uomo fascista; come pure le bellezze monumentali e ambientali dell’Italia, la memoria della Grande Guerra, il culto degli eroi (come Antonio Locatelli) e le imprese coloniali sono argomenti impressi in diverse copertine, che mettono in risalto la dimensione dell’Impero e il ruolo dell’Italia nel mondo. I quaderni e le copertine oggetto di approfondimento sono stati messi a disposizione da Oscar Zanchi, un noto collezionista di Bergamo che conta, nella sua preziosissima raccolta, diverse migliaia di quaderni, scritti e non, in distribuzione e utilizzati nelle scuole elementari del Ventennio, molti dei quali prodotti dalla cartiera Pigna. Alla monumentale raccolta fanno seguito diversi album originali con un vasto campionario.
La biro assassina della calligrafia
Durante la visita alla preziosa collezione privata, la mia curiosità, però, è caduta su alcuni quaderni di “Calligrafia”, o di “Bella scrittura”, utilizzati – quindi scritti – nel Ventennio da alunni formati alle abilità della scrittura e della lettura, che, assieme a quella del “far di conto”, stavano alla base dell’insegnamento nella scuola elementare. Pagine meravigliose d’altri tempi, di una scuola che fa fatica a confrontarsi serenamente con il proprio passato, se dimentichiamo che, sino agli anni Sessanta del Novecento, sui banchi di legno massiccio delle nostre aule si usavano ancora pennino e inchiostro, raccolto nel calamaio, prima cioè che la “biro” – la penna a sfera – semplificasse la scrittura, ossia la rendesse più immediata e fruibile in qualsiasi momento e luogo. Il paradosso, però, è stato che, in un certo senso, la biro ha “ucciso” la bella scrittura, rendendola priva di originalità, quasi ovvia e scontata. Pennino e calamaio la impreziosivano, la rendevano unica e non banale, orientavano certamente il bambino all’ordine, alla precisione, lo formavano alla concentrazione, al gusto per il bello e all’espressione di pensieri e di emozioni anche attraverso la grafia. Una serie di altri passaggi hanno sancito il suo definitivo declino: nel 1985 la disciplina nella scuola cambia e da “disegno e bella scrittura” diventa “educazione all’immagine”. Nelle classi sono state mandate in pensione anche le vecchie lavagne con i gessetti, sostituite da quelle digitali, mentre già diverse scuole hanno introdotto il libro digitale e il dito indice della mano del bambino, anziché impugnare la penna, stretta con il pollice e il medio, poggia più di frequente su diverse piattaforme touchscreen.
Significato e forma
Osservo con interesse e ammirazione le pagine di quei quaderni, così ben ordinati, di bella grafia e di bella copia, e rimango attratto dall’abilità e manualità degli allievi addestrati a ricercare la completezza delle singole vocali e consonanti, ad aggregare le prime lettere sino a formare parole intere, le quali, ben distribuite nella pagina, nelle righe o quadretti loro assegnati, definiscono un vero e proprio quadro. Pagine da incorniciare ed esporre in bella vista. Quanta ricercata precisione in quei testi, recanti un’infinità di dettagli in ogni lettera dell’alfabeto! Essi trasmettono il senso di perfezione e l’idea di bellezza, anche dal punto di vista estetico. Per ciascuna lettera c’è la ricerca della sua geometria, nei suoi spazi e nelle giuste proporzioni, che insieme alle altre va a comporre l’equilibrio della parola intera. E le tante parole, così preziosamente composte, determinano l’armonia della pagina. Quelle maestre insegnavano ai bambini che una lettera non ha solo un suono e un significato, ma anche una forma che questa ha una sua peculiare importanza: abbraccia la dimensione artistica, trasmettendo sensazioni di ordine, pulizia, bellezza. In questo modo anche la semplice letterina, rinchiusa nella sua gabbia, il quadrato, che sottintende anche il cerchio, si espande, nel suo apparente rigore, oltre l’infinito. La maestra, a sostegno del suo metodo di insegnamento, si avvaleva di alfabetieri, che rimanevano sempre esposti nella classe, illustranti vocali e consonanti in corsivo e in stampato, minuscolo e maiuscolo, ciascuna accompagnata da un’immagine raffigurante animali o cose: fungevano da modello, che i bambini copiavano, esercitandosi nella rappresentazione delle singole lettere. Ne studiavano l’altezza, l’orientamento, la forma; le compilavano con nitidezza e costruivano i naturali eleganti collegamenti,… Come fa l’artista quando deve riprodurre una natura morta o realizzare il bel ritratto di un soggetto in posa.
La scomparsa del “corsivo”…
La bellezza della scrittura andava ricercata soprattutto nell’uso del corsivo – una grafia mobile, personale, un carattere nel quale le sillabe, unite le une alle altre, scorrono di continuo come l’acqua di un torrente e producono un flusso di significati – che meglio esprime la dimensione psicologica e individuale dell’alunno, dato che lo stampato è pressoché uguale per tutti, nella rigidità della sua forma. E qui si presenta un altro grave paradosso: una delle conseguenze della mancata affermazione della cosiddetta “bella scrittura” è l’abbandono del corsivo, che viene usato sempre di meno. Forse anche perché non piace quando è scritto male, avendo dimenticato le abilità della bella scrittura. Nell’uso del corsivo c’è l’espressione individuale, l’affermazione delle particolari inclinazioni dell’individuo, la soggettività dello scrittore, alunno alle prime armi o affermato autore che sia. Nello stampato, invece, si nasconde l’omologazione, l’uniformazione, l’appiattimento del pensiero, l’annullamento delle differenze e delle peculiarità. Dal mio osservatorio, dove vivo e lavoro di lettura e di scrittura, vedo ad esempio che, mentre le persone meno giovani scrivono e sottoscrivono normalmente in corsivo, i più giovani tendono ad usare lo stampato minuscolo, anche nella propria firma, ormai poco allenati all’uso del corsivo e al collegamento delle varie lettere.
… con il progresso che porta altrove
Perché non tornare ad insegnare ai bambini l’arte perduta della bella scrittura? Non tanto e solo per “imparare a scrivere”, quanto invece per addestrare l’allievo, anche nel prosieguo degli studi, quindi oltre il primo ciclo della scuola primaria, alla costruzione di raffinate geometrie concrete e relazioni ordinate tra vocaboli, suoni e sensi. Laboratori grafici per l’uso del pennino e dell’inchiostro potrebbero essere un modo per nobilitarla, restituendole un valore come risultato di complesse abilità cognitivo-percettive e manuali, oltre che di ricerca sul piano dell’elaborazione del pensiero. Tanto per i bambini, quanto per gli adulti. Continuo a sfogliare quei quaderni degli anni Trenta, così ben tenuti e ordinati, compilati da bambini che, da lì a pochi anni, avrebbero vissuto l’esperienza drammatica della guerra, magari anche della deportazione, ma mi accorgo di essere entrato ad occhi aperti come dentro a un sogno. Fuori la realtà è diversa, meno nobile, frammentata in una serie infinita di mediazioni, in balia di un “progresso” tecnologico e sociale che ci sta portando altrove. Penso. Riprendo a scrivere su questo foglio di carta bianca, senza righe né quadretti, sul quale cerco con fatica di esprimere vaghi pensieri, senza un ordine apparente, con la mia sgraziata calligrafia a zampa di gallina…