“Mi lagnerò tacendo” scriveva Gioachino Rossini. Saggio consiglio se non fosse che la questione in oggetto (di cui peraltro abbiamo più volte scritto qui, facili profeti nel preannunciarne la realizzazione nonostante finte ed artefatte discordie) riguarda tutti noi bergamaschi. Ma non solo: Bergamo è capitale della cultura 2023 e almeno per tutto l’anno centro dell’attenzione nazionale. Insomma, c’è in ballo l’immagine di una città. Che di cultura, alle spalle (come gran parte dei centri storici italiani) ne ha molta, in tutti i campi.
E qualificarla ancor più, offrendone un’immagine aggiornata, più prestigiosa e, diciamolo visto che parliamo di cultura e non di sagre di carnevale, più impegnata, dovrebbe essere obiettivo primario naturale. “Elementare, Watson” direbbe qualcuno.
Invece, dopo la fiction d’apertura molto appetibile per uno show similTV ma non per un lancio-visione di una capitale culturale), ecco ora la notiziona: un musical, anzi no, un’opera lirica su Raffaella Carrà! Costo ufficiale: 700 mila euro. Del resto se il biglietto da visita è stato ponpon-ballerine-cotillons, il seguito cos’altro poteva essere? Quanta differenza e quanta distanza con Brescia nostra partner nella Capitale della cultura 2023, dove la stessa cerimonia è parsa non solo più sobria, ma all’insegna della qualità.
Occasione persa, irripetibile purtroppo, per offrire un’impronta culturale precisa e consona di una città, di un Teatro, di una cultura. E non bisognava scomodare l’almanacco dei vip: il nome identitario di Bergamo nel mondo (della cultura) era ovvio e scontato: Gaetano Donizetti. Invece dal cilindro dei nostri soloni al potere è uscito un personaggio alieno a Bergamo. Forse Gori non lo sa ma Raffaella Carrà non è di Bergamo.
Qualcosa di inesplicabile ci dev’essere per spiegare una scelta così incomprensibile. Sul piano economico (spreco ingente di risorse destinabili a chissà quanti “altri” progetti) artistico e soprattutto della promozione di Bergamo come capitale. Di cosa? Vien da chiedersi. Appare semplicemente letteralmente o-sceno che la città focalizzi l’attenzione quale evento clou del 2023 su un personaggio estraneo a questa citta e al suo humus culturale.
Ma udite le motivazioni (pubblicate su una stampa locale che sembra abdicare al suo dovere di critica per elogiare sempre e comunque) per giustificare tale insostenibile scelta: “L’opera su Raffaella Carrà non è altro che la naturale e aggiornata prosecuzione del melodramma donizettiano e verdiano dell’ottocento” (Francesco Micheli regista dixit). Una corbelleria intellettuale e artistica. Che fa il paio con un’altra dello stesso tenore: “Donizetti rivoluzionario del melodramma“.
Nonostante tutto ciò ecco il sostenegno incondizionato di una Fondazione ad hoc (in tutt’altre faccende affacendata verrebbe da pensare) e soprattutto un sindaco che fa da sponda – pur sapendo bene per averla studiata sui banchi del Sarpi, cosa sia la Cultura – allo show-video imperante così seducente, demagogico, effimero, piacioso e disimpegnato adatto per cervelli ossequiosi possibilmente omologati. Un sindaco che si spinge a dichiarare: “Da sempre adoro la Carrà. Io stesso ho dato il titolo ‘Raffa in the sky’.” Uno slogan dal retrogusto vintage che appare un po’ macchiettistico per una capitale della Cultura. Incredibile ma vero. Perché alla fin fine, l’impronta culturale appiccicata a Bergamo questa sarà. Ahinoi.
Al netto di tante altre iniziative e manifestazioni culturali come la rinnovata e bella (di suo) Accademia Carrara, come la stagione lirica (tradizionale), il Festival pianistico internazionale (altrettanto tradizionale) per non citare che le più visibili e qualificate da “sempre”, quello che resterà nell’immaginario collettivo sarà lo spettacolo d’apertura e l’opera nel nome di Raffaella Carrà.
Peraltro oscurara dall’imperversare mediatico e cannibale (che tutto in fretta divora), di nuovi volti, nuovi gusti, nuovi miti per un giorno o poco più. Roba da nostalgici incalliti folgorati sulla via del tubo catodico. Eppure, ennesima corbelleria del regista: ” … proprio con un’opera sulla Raffa si avvicinerà il mondo della lirica ai giovani, e solo così il melodramma sopravviverà prolungando la propria tradizione. La Carrà è la più vicina a Donizetti“. Ecco, il binomio Donizetti-Carrà è servito.
Possono non rendersi conto, loro consapevoli, di propinare a noi tutti inconsapevoli un pasticcio così imbarazzante? Possono davvero non considerare un errore coniugare la capitale italiana della Cultura con una showgirl? E giustificare in questo modo di fronte al mondo un’operazione culturale capitale nel segno di Raffa?
Una commedia degli errori o una commedia degli orrori? Senza scomodare la caduta degli dei, se volevano far cadere Bergamo più in basso, ci sono riusciti. Prima ancora di cominciare. Siamo seri. Almeno nell’antica Roma (a proposito di Cultura), per essere decentemente seri proclamavano apertamente “Panem et circenses“. Qui invece i circenses si riempiono la bocca di Cultura, poi si travestono da Arlecchino e Dulcamara per vendere demagogia culturale.
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