Il 13 novembre del 1971 i ragazzini di 9 anni e dintorni, come me, andavano a scuola, poi pranzo, subito i compiti e poi via di corsa a giocare a pallone in uno dei tanti prati che ora non ci sono più, come pali i giubbini che davano sempre contestazioni sul tiro angolato: ogni giorno beghe palo- no! gol, ma il giorno dopo era di nuovo partita, e di nuovo beghe e via andare, in un ciclo continuo. Fino alle 4 e mezza, poi a casa per una pulitina e via a messa delle 5, ma a volte la partita era più tirata del solito e la saltavi, la messa, e allora erano guai, perché la mamma, a differenza del Dio della messa, non perdonava.
Erano tempi in cui in tv c’erano solo due canali, Rai 1 e 2, in bianco e nero, e la pubblicità era relegata al solo carosello, il segnale che la giornata per noi era finita e si doveva andare a letto. Faceva eccezione il giovedì del mitico Mike Allegriaaaaa con Rischiatutto e la Sabina Ciuffini e il Massimo Inardi da Bologna, un dottorone talmente preparato da far sorgere il dubbio che avesse poteri divinatori, magici: del resto era un parapsicologo, para-che? ci chiedevamo, per noi i mestieri erano quelli della quotidianità, il muratore, il fornaio, il fruttivendolo, anche il dottore, ma non quel para-lì, quello era uno sconosciuto, il dottore per noi era un’altra cosa, era quello che veniva a casa a visitarti, ti provava il battito, lo stetoscopio (ma allora non sapevo si chiamasse così) piantato nei timpani, toctoc sulla schiena, “dì 33”, ti dava la medicina e infine anche una mou di affetto e consolazione: invece quell’omone bolognese era un dottore strano, e il fatto che rispondesse a tutte le domande, ma proprio tutte tutte, alimentava le convinzioni di poteri magici.
E poi c’era il sabato sera, la febbre travoltiana non era ancora arrivata, la mattina dopo dovevi comunque alzarti presto per andare a messa prima, ma era concesso stare alzati a guardare la tv dopo il carosello, tanto i programmi erano ultraprotetti: come si dirà più tardi, nazionalpopolari. A quei tempi c’era Canzonissima, condotta da Corrado e una giovanissima Raffaella Carrà: canzoni e sketches con ospiti di allora, Alberto Lupo, Walter Chiari, Renato Rascel, Gino Bramieri, Mina, Don Lurio, Alighiero Noschese, i Giuffrè, Pappagone e tanti altri che appartengono al giurassico comunicativo e al pantheon televisivo. Insomma, roba per educande. E invece la sera del 13 novembre 1971 la Carrà si presenta con uno dei suoi abiti succinti, con l’ombelico in bella mostra (inaudito!), e balla il tuca-tuca con l’Albertone Sordi nazionale, i due corpi ondeggiano e flettono al ritmo sospirato di “Mi piaci, AhAhhhhhh, Mi piaci, Mhmhmmmmhhh, mi piaci tanto, tanto che…..”, lui le sfiora i seni, le cosce, l’ombelico di lei rimbalza davanti al video, le sue marmoree natiche roteano davanti ai nostri occhi, i sospiri e gli smiciamenti si fanno sempre più intensi, mimano un qualcosa che ancora non conosco ma mi piace un casino, e… e mia madre che interviene e mi porta in camera, su, è ora di andare a dormire.
Nooo, proprio sul più bello, non vale, intuii che ero vittima di una sorta di godimentus interruptus, ma solo anni dopo ne scoprii l’importanza, e che è una pratica che fa male. Il tuca-tuca la Carrà l’aveva già ballato alla prima puntata, con E. P. Turchi, e c’erano già state delle polemiche, anche se il ballo era stato eseguito e ripreso in modo da sembrare meno “indecente”, e poi dall’Albertone non se l’aspettava nessuno, eppure in 5 minuti sdoganò l’ombelico, l’amore, il sesso, i sospiri, tutto, a lui era concesso tutto: per noi che il massimo della trasgressione era leggere di straforo il catalogo Postal Market, vedi pagine biancheria intima femminile, una goduria! E poi l’ombelico della Carrà: non era il primo in tv, l’avevano già mostrato le gemelle Kessler, due biondone tedesche con due gambe lunghe come il Brennero, belle ma tedesche, freddine, precise, tutto in ordine e a posto, in rigorosa fotocopia, insomma potevano mostrare ma non scaldavano.
La Carrà invece no, era più piccola, boccalarga, risata fragorosa, con un corpo un po’ così, con le gambe un po’ così, ma per “noi che abbiamo visto Genova” era tutta un’altra energia. Insomma, nel romanzo nazionalpopolare di quell’Italia postboom rappresentato e guidato dalla televisione, il tuca-tuca Sordi-Carrà, piaccia o non piaccia, resta una pietra miliare, un’icona. Per me, un primo passo verso la scoperta di quel misterioso mondo che era l’altro sesso: oddio, a dire il vero conoscevo poco anche il mio, ma quello femminile era proprio tabù, tra cavoli, cicogne e pance gravide delle zie e delle vicine di casa, non ci capivo nulla. Poi col tempo qualcosa ho imparato, al liceo c’abbiamo giocato col cogito cartesiano, e con la professione ho anche capito il valore e l’importanza del sesso sicuro, non va fatto sulle impalcature.