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Nell’antica Roma, il 17 di agosto si festeggiavano i Portunalia, una festa in onore di Portunus, Dio dei porti e protettore delle porte, “genio della navigazione” per mare e fluviale. Il legame fra i porti e le porte con le foci dei fiumi ha numerosi significati nelle culture del Mediterraneo (quindi anche nella nostra).

In primis il riconoscimento del valore del collegamento dell’entroterra con il mare, fonte di scambi e allargamento di orizzonti. Gli Oceani sono i mari della distanza, mentre il Mediterraneo è il mare della prossimità e della vicinanza, infatti si chiama così perché bagna la terra circostante (mediam terram). I popoli antichi lo vedevano fino ad Oriente, mentre ad occidente era chiuso dalle colonne d’Ercole oltre le quali c’era l’ignoto: i suoi confini non sono mai stati riducibili alla storia e men che meno a qualche illusoria sovranità nazionale.

Per i Greci era il “nostro mare”, per gli Arabi era Rumelia (cioè romano-bizantino), per tutti è stato un motore di conoscenza e sviluppo, una connessione usata dalle vie della seta, del sale, delle spezie, degli oli profumati, delle conoscenze, del potere e delle civiltà, un eclettico mosaico composto da Europa e Maghreb, Oriente ed Occidente, Talmud, Bibbia, e Corano, campanili e minareti, dialettica greca e diritto romano, latinità e mondo bizantino, cultura araba e poesia provenzale, i libri sacri della pace e le guerre dei crociati o le Jihad anticristiane. Sul Mediterraneo i popoli hanno continuato a spostarsi, mescolarsi e rinnovarsi. Il Mediterraneo non è una creazione latina, né panellenica, né panaraba o sionistica, ma la sintesi in continuo divenire di tanti incontri.

La ricerca di Dio e della sopravvivenza è fiorita prima a Levante che a Ponente, infatti dalle terre affacciate sul Mediterraneo orientale sono giunti i nostri profeti e Cristo, anche se gli ebrei non erano navigatori: Mosè non navigò il Mar Rosso ma lo attraversò a piedi, Giona gettato in mare venne inghiottito e protetto da un grosso pesce nel suo ventre. E nella diaspora gli ebrei ebbero rabbini, non capitani. Con i profeti giunsero anche i mercati carichi di profumi ed aromi (mirra, cinnamomo, incenso, ladano, cassia) ad integrare i nostri mercati e le nostre pescherie: si chiamavano bazar in Persia e suk in semitico, gli arabi li diffusero nei territori conquistati, Spagnoli e Portoghesi li fecero propri e poi li trasferirono nel Nuovo Mondo. Il mercato-pescheria-suk continuò ad essere importante come l’antica agorà greca, politica e commercio si fronteggiavano sulla pubblica piazza.

In tanti si sono affacciati e hanno solcato il Mediterraneo, ma non tutti sono riusciti a diventare mediterranei. Il Mediterraneo, come ogni luogo, oltre alle leggi scritte dall’uomo ha anche le leggi non scritte degli dei, è palcoscenico della tragedia di Antigone che si rinnova: troppo spesso sventoliamo il nostro passato senza conoscerlo, e quindi senza comprendere il presente, anzi spesso confondendo l’uno con l’altro: oppure ci affidiamo ad una pericolosa retorica di cui ha abusato la democrazia e la demagogia, la libertà e la tirannide. E’ parte della tragedia dell’uomo, dopo 2500 anni vale ancora.

Il mondo da sempre cambia continuamente, ora ancora più rapidamente, eppure continuiamo a dedicarci all’autocompiacimento di un inesistente monolitico identitarismo. Siamo ancora fermi a Guelfi e Ghibellini, Montecchi e Capuleti, intanto gli altri inventano la stampa e scoprono l’America: ma ogni colpa e responsabilità è degli altri, sempre. In questo sì, siamo uniti e identitari.

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