La pregevole edizione del Centro Studi Valle Imagna: “Piccole grandi storie della Chiesa di Bergamo”, un’opera in tre tomi, presenta una serie di documenti inediti, conservati presso l’archivio storico del Vaticano, relativi a tutte le parrocchie della nostra diocesi. Per la parrocchia di Seriate sono presentati alcuni scritti la maggior parte dei quali si riferisce alle tragiche vicende del parroco di Seriate, don Stefano Gatti. Questo sacerdote era nativo di Vall’Alta di Albino, probabilmente, nel 1787. Fu ordinato sacerdote nel settembre del 1811. Fu dapprima coadiutore parrocchiale di Casirate d’Adda; nel 1819 divenne parroco di Poscante e, quindi, nel 1829 di Seriate. Morì a Bergamo nel 1862.
Gli inediti pubblicati riguardano avvenimenti del biennio 1848- 1849: un periodo tumultuoso in tutta Europa ma particolarmente in Italia. Il 1848 fu l’anno della prima guerra di indipendenza voluta dal re piemontese Carlo Alberto, contro l’impero austro-ungarico; fu l’anno delle cinque giornate di Milano. Sembrava in quei mesi che il sogno di tanti connazionali che dal 1815, anno del Congresso di Vienna, avevano gradualmente e con disegni non sempre convergenti ideato, si avverasse: la realizzazione dell’’unità d’Italia.
Venendo al nostro arciprete il testo (a pagina 757 e seguenti) ci presenta un primo importante fatto: in un decreto del 18 gennaio 1848 il vescovo di Bergamo Carlo Grotti Morlacchi lo rimuoveva dalla parrocchia: ” … per un contegno assai censurabile proveniente da mancanza di mente e di cuore,che tiene nei molti anni che si trova in parrocchia,e del quale non si è mai emendato,nonostante le nostre ammonizioni,avendo perduto presso i suoi parrocchiani l’affezione e la confidenza,per cui si trovò esposto a sentire anco minacce,e a ricevere offese,trovammo di dovere del nostro ministero di mettergli nel nuovo anno a determinato tempo un vicario per provvedere alla personale sicurezza di lui,ed all’assistenza della parrocchia,dalla quale venne anche allontanato con ordinanza politica.”
Don Gatti, però non si arrese e per scongiurare la rimozione ricorse al maresciallo Josef Radetsky, che fu nominato nel 1849 governatore generale del Lombardo Veneto. Nella sua istanza del 25 settembre 1848 il parroco scriveva: “Il sottoscritto non implora clemenza ma vanta diritto alla protezione di vostra eminenza che lo ristori dalle calamità che per la fedeltà agli austriaci ne ebbe a soffrire per parte dei rivoltosi. Per le falsità e le replicate istanze al governo provvisorio ed al vescovo gli venne al momento dato un vicario pro tempore. Perseguitato e ferito in capo da un colpo di pistola, e fattosi egli ferito condurre fuori la parrocchia gli venne dato il precetto di non ritornarvi sotto pena di arresto dal governo provvisorio, il cui capo era il conte Roncalli (Roncalli Francesco presidente del governo provvisorio, ndr.), mentre passeggiavano impuniti li sacrilegi assassini protetti da certo Piccinelli Ercole medico del paese e principale nemico del parroco e capo di rivoluzione” .
Aggiungeva che anche “… i suoi due fratelli,uno avvocato e l’altro sacerdote e Carlo Belloli speziale” gli impedivano di ritornare in parrocchia.
Continuava ricordando che “… il sunnominato Piccinelli è quello il quale nel tempo che medicava un colonnello tedesco ferito nella sua casa,da cui era pagato abbondantemente,eccitava il popolo all’armi contro i Tedeschi non meno feroce ed attivo contro di loro che i capi della rivolta in Bergamo,coi quali passava di piena intelligenza.” Non aveva poi patemi d’animo a far notare che il sacerdote, suo sostituto “favorisce il partito dei nemici del parroco” arrivando a “gridare dall’altare più e più volte contro i Tedeschi da lui chiamati crudeli,barbari, tiranni”.
La guerra tra lui e i parrocchiani, suoi nemici, si era aggravata allorché in sua predica aveva voluto “inculcare al popolo la pratica dei mezzi di placare il Signore onde sospendere i castighi e concedesse la pace“. Piccinelli, da par suo, sosteneva che dovere dell’arciprete era quello di “eccitare il popolo alle armi contro i tedeschi al fine di scuotere il giogo del tiranno, e che la rivoluzione era una provvidenza divina”.
Ma il vero e proprio misfatto così venne ricostruito da don Gatti: “Dopo di che credendo i nemici del parroco di poterlo ridurre al punto di rinunciare si applicarono … violenza. Vi chiamarono vari dei più audaci e facinorosi del paese a scacciarlo di casa. Entrati questi nella sua casa parrocchiale e saliti in alto fino all’uscio dello studio dove egli erasi rifugiato, attraverso i vetri dell’uscio gli scagliarono in capo un colpo di pistola,per cui cadde come morto a terra. Discesi gli assassini alla porta,poté cosi grondante sangue fuggire per altra porta e salvarsi in casa Noli,dalla quale il dì dopo venne tradotto in Borgo Santa Caterina“.
Avviandosi alla conclusione faceva notare che “nulla si sa del processo, rimanendo tuttora liberi i feritori, e quelli che li incombenzarono (sic) di azione sì nefasta. Si ricorda pertanto tutto ciò a fine di ottenere quelle provvidenze che sono del caso. Il finale era un vero e proprio proclama:e se forse sacerdoti e parochi (sic) si sono meritati lo sdegno di Tedeschi per avere predicato contro di loro,il sottoscritto si trova in diritto di protezione per la fedeltà osservata costantemente ai medesimi che fu la causa di sua persecuzione“.
Sembrerebbe un evento impossibile: ma un’altra autorevole testimonianza conferma la vicenda, Santa Paola Cerioli in una lettera al fratello Giovan Battista l’8 aprile del 1848 scriveva: “Una cosa assai spiacevole è successa ieri sera a Seriate: l‘arciprete era stato dimesso qualche giorno fa in conseguenza di discorsi imprudenti sugli avvenimenti presenti, tenuti in chiesa. Il medesimo si ostinò a non partire dal paese né dalla casa parrocchiale e gran folla di popolo si recò alla sua abitazione intimandogli di sloggiare immediatamente. Al suo rifiuto un individuo gli tirò un colpo di pistola e disgraziatamente lo colpì alla testa. Il chirurgo, chiamato immediatamente, disse che la ferita non gli sembrava mortale. Questa mattina mi dicono che sta meglio ed aspettavano un professore di Bergamo per fargli l’operazione. Vi lascio immaginare il tumulto che vi era in Seriate. Quest’anno gli avvenimenti sono tanto grandi e così precipitati che ne siamo meravigliati”. (tratto da Lettere di una madre, Ferrari Edizioni, 1993, p. 485.)
Seconda parte: Quando spararono alla testa al parroco di Seriate don Stefano Gatti – SECONDA PARTE