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Il Simposio di Platone. Elevazione dell’uomo dalla carne allo spirito per mezzo dell’eros. Lezione di Giuseppe Girgenti. Lettura di Simone Passera

Il Simposio di Platone si presta alla messa in scena teatrale e d’altra parte l’aspirazione giovanile di Platone era diventare drammaturgo. Poi incontrò Socrate e si fece filosofo. Il banchetto greco o sunposiòn (bere insieme) è una festa dove si mangia, si canta, si balla, si discorre e ovviamente si beve. Nell’opera di Platone ci sono diversi personaggi tra cui Socrate, che è una presenza costante nei Dialoghi platonici.

La casa del Simposio è quella di Agatone poeta tragico che vuole festeggiare la sua vittoria nell’agone teatrale appena concluso. Ha appena presentato un’opera al centro della quale era un altro banchetto, questa volta macabro, in cui si consuma la vendetta di Atreo nei confronti del fratello Tieste al quale è dato in pasto la carne dei figli. Al centro del Simposio di Platone l’argomento sarà invece l’amore non l’odio e dell’eros parleranno i diversi convitati.

Il primo è Fedro che offre una carrellata di casi d’amore partendo dai primordi quando Caos con il vigore di Eros aveva generato il tutto, il cielo e la terra. Fedro cita amanti celebri, amori ora ricambiati ora delusi, amanti (eròmenoi) disposti a morire per l’amato come Alcesti nei riguardi di Admeto e amanti infelici come nel caso di Orfeo ed Euridice, amanti dello stesso sesso come Achille e Patroclo o come lo stesso Socrate che aveva protetto con lo scudo l’amato Alcibiade ferito nella battaglia di Potidea, come si ricorderà più avanti nel dialogo.

Pausania, il secondo a parlare, distingue varie tipologie di amore, da quello volgare che prostituisce il corpo a quello più elevato, fermandosi sull’amore omosessuale. Discute su come le leggi lo regolano nelle varie polis. Atene lo ammette a patto che diventi uno scambio positivo, perché può essere uno scambio consenziente dove uno cerca e apprezza la bellezza del corpo giovane offrendo in cambio l’esperienza e la conoscenza dell’uomo maturo. In tale ottica va letto l’atteggiamento di Alcibiade, alla fine del dialogo platonico, nei suoi tentativi di seduzione verso Socrate, che in altre circostanze si era mostrato consenziente. Socrate questa volta rifiuterà, “non si possono scambiare le armi d’oro con il bronzo”, proponendosi amante dell’anima e non del corpo.

Il commediografo Aristofane si rifà al mito dell’androgino, creatura che unisce le caratteristiche dei due sessi. Ma gli androgini apparvero subito troppo potenti e potevano attentare il potere degli dei. Il loro corpo fu diviso perciò a metà, divisa la parte maschile da quella femminile, e da quel momento l’uomo inseguì la metà mancante, l’uomo attratto dalla donna e viceversa. Cos’è allora l’eros? È nostalgia dell’unità perduta.

Quando Socrate prende la parola intende differenziarsi da Agatone che lo ha preceduto. Il padrone di casa aveva dato un’immagine di eros che avrà fortuna nell’iconografia successiva: Eros è un bimbo delicato e dolce, il puttino che lancia frecce e trafigge gli amanti, l’amore che colpisce inaspettatamente, il bello in cerca del bello, il soave che fiorisce nell’accordo.

Socrate riporta invece un discorso che aveva udito anni prima dalla sacerdotessa di Mantinea Diotima. Lei aveva dipinto il demone Eros come irsuto, scalzo, sudicio, figlio di Penia che durante la festa per la nascita di Afrodite aveva approfittato dell’ingegnoso dio Poros, ubriaco di nettare, per giacere carnalmente con lui. La natura di Eros è perciò una via di mezzo tra il dio e l’uomo, né bello né brutto, né sapiente né ignorante, né povero né ricco. Ha relazione con gli uomini e con gli dei. Nell’indigenza sente il bisogno, nell’ignoranza cerca la sapienza. Povero ma pieno di risorse è un amante, amante del bello e del bene il cui possesso rende felici. Tutti gli uomini cercano il bene e sono disposti a tagliarsi una mano pur di averlo. Gli uomini, sempre cangianti nel tempo, lo cercano nei corpi, si uniscono alle donne e fanno figli. Vogliono essere immortali. Ma non basta, sono superficiali, seguono le novità che poi dileguano e periscono, perché si può essere fertili nel corpo soltanto ma conta di più essere fertili nell’animo e tenersi vicino al bello e al buono per generare saggezza e poesia e virtù. Alcuni poi cercano una figliolanza migliore, operano secondo prudenza e giustizia, generano le leggi della città a vantaggio del bene comune. “La loro fama resta e noi li ricordiamo sempre e celebriamo, come è stato per Licurgo e Solone”.

Diotima, riferisce Socrate, non si fermò a questo punto.  Secondo le parole di Dante al maestro Brunetto Latini, “m’insegnavate come l’uom s’etterna” (Inf. XV), la sacerdotessa di Mantinea giunse con il suo discorso alle vette della filosofia, alla bellezza in sé.

I giovani cercano i corpi belli per poi amarne uno in particolare. La bellezza però non è in un solo corpo né soltanto nel corpo. La bellezza è insita nell’animo. Spinge alle conoscenze che fanno intendere il bello. Volgendosi all’immenso mare del bello si matura la saggezza. Di grado in grado finché, quasi all’improvviso, appare una bellezza stupenda, che sempre esiste e mai muore, non è di un lato né dell’altro, o bella per alcuni e per altri brutta. Non si presenta con volto o mani o corpo né discorso, magari in cielo oppure in terra, ma come essa è. Quella bellezza conta di conoscere. “Se mai riuscirai a vedere la bellezza in sé, o Socrate, ti sembrerà che né mangiare né bere sarà importante ma arrivare e stare con essa solo. Là soltanto si generano non immagini di virtù ma la vera virtù”. “Questo mi diceva Diotima, e io Socrate mi impegno al suo insegnamento ed esorto gli altri, per quanto sta in me”.

Così, dopo la baraonda di Alcibiade ubriaco e i suoi tentativi vani di seduzione, il Simposio si conclude. Tutto tace nella casa di Agatone: “Allora Socrate visto che tutti si erano addormentati se ne andò”.

Bergamo Liceo Mascheroni, 28 novembre 2023

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