Da 40 anni a oggi credo di non aver mai visto un periodo di espansione lavorativa come l’attuale. Gli annunci di offerte di lavoro non si contano più: sui social, sui muri, per passaparola… Nemmeno negli anni Ottanta e Novanta, dove c’era un buon trend di crescita, non ho mai percepito un livello di offerta datoriale del genere.
La cosa che fa scalpore però è il dato dei disoccupati. Siamo all’8%, con picchi del 24% per quanto riguarda quella giovanile. Il tasso medio degli ultimi 30 anni, invece, si assesta circa al 5% con una crescita economica molto più esigua. Come è possibile tutto ciò? E’ presto detto. Vuol dire che (per ora) ce lo possiamo permettere. Ossia chi è fuori dal mercato del lavoro (soprattutto nell’età giovanile) è perché se lo può permettere. Vuol dire che la famiglia è in grado di supportare i giovani oppure che questi hanno altri tipi di reddito non dichiarato. In sostanza sono nelle condizioni di di aggirare l’attuale offerta ufficiale che il mercato offre.
Ad appesantire il suddetto fenomeno è la zavorra del reddito di cittadinanza. Un provvedimento a dir poco oltraggioso per gente che in giovane età ha fatto la gavetta e ora vede il proprio gettito fiscale finanziare un sussidio del genere, nel contesto economico che stiamo vivendo ora. Per carità, presumiamo che tale strumento sia stata una risposta politica distorta a un qualcosa che la politica stessa non sapeva come governare: la globalizzazione, arrivata come uno tsunami dagli anni 200O.
Essa ha portato la competizione economica a livello globale e ha messo in contrapposizione i salari medio bassi degli italiani col il resto del mondo senza più lo scudo della della lira svalutata (che sapeva molto del giochino delle tre carte). Ecco, di fronte e delocalizzazioni e smantellamenti di veri e propri siti produttivi del manifatturiero, la politica italiana non ha saputo partorire altro che l’ennesimo sussidio. Sia chiaro, lo hanno votato due forze politiche ben precise, tre anni fa.
Ma la cosa peggiore che il reddito di cittadinanza genera è l’aumento del debito (abbiamo già rischiato la bancarotta nel 2011) caricandolo sul mondo produttivo. Le leggi fanno storia e danno input ai comportamenti dei cittadini. In un sistema di welfare come il nostro, con una crescita demografica che si commenta da sola, non è pensabile che il carico fiscale e contributivo di chi lavora possa reggere tutte le fuoriuscite che l’Inps deve compensare.
Se a questo aggiungiamo che in un periodo di notevole espansione economica si possa scegliere di non lavorare forse è arrivato il momento di mettere mano alla articolo 1 della Costituzione. Sperando sempre che alla BCE si girino dall’altra parte per non guardare i nostri conti pubblici.
Ma capiamo la scomodità di questa opinione.