L’atteggiamento di un Sindaco che non vede, di una Assessora che non sente e di una Fondazione che non parla hanno portato alla celebrazione ufficiale nel Teatro Donizetti, per la Capitale della cultura, di un’opera su Raffaella Carrà. Opera simil-donizettiana (ipse dixit) voluta, inventata e “imposta” dal direttore artistico del Festival Donizetti, Francesco Micheli, a memoria di un personaggio che “non è solo soubrette, ma donna che ha cambiato [udite, udite!!!] in meglio la vita italiana“.
Sempre ipse dixit l’altra sera nientemeno che dal pulpito della cultura musicale bergamasca (Teatro Donizetti), nel corso del triduo di preparazione (manco a dirlo ancora voluto e “imposto” dal medesimo) all’evento vero e proprio che andrà in scena il 29 settembre.
Queste le parole testuali del regista brembano: “Raffaella ha fatto una rivoluzione: noi raccontiamo come ha cambiato il mondo, ha cambiato gli italiani entrando nel salotto delle nostre case“. Per Micheli sembra esserci solo la Carrà (aveva anche la sua effige sulla maglietta) in barba a tutti i movimenti sociali, culturali, politici, a tutte le lotte sindacali e di emancipazione della donna, a tutte le mobilitazioni per l’affermazione dei diritti civili, per stare solo agli ultimi cento anni di storia patria.
Micheli ci informa che noi tutti, noi italiani, siamo stati cambiati da un’avvenente ballerina bionda abilmente sfruttati dal tubo catodico televisivo. Ecco il massimo comun denominatore che lega trasversalmente i protagonisti che hanno sfacciatamente coniugato la Capitale della cultura con la incolpevole, ignara suo malgrado, Raffaella Carrà. Il Sindaco di Bergamo e il Micheli hanno così, convivialmente, celebrato la regina del “tuca tuca” da Trieste in giù. Ciò la dice lunga sulle scelte di fondo che hanno incorniciato ancorché caratterizzato questo anno ormai agli sgoccioli gettato al vento nel nome di una cultura anonima e asintomatica basata sull’effimero (plausibile per carità) e sull’intrattenimento (altrettanto plausibile) che invece di suscitare riflessioni, interessi, curiosità, conciliano la sonnolenza digestiva.
Ma le corbellerie, propinate al pubblico complice dal grande regista brembano nel corso della suddetta serata quale primo assaggio per la fantaopera Raffa in the Sky (a esser maliziosi quello Sky non appare proprio casuale visto la collaborazione del Micheli al colosso delle telecomunicazioni), sono state molteplici. Tutte di tale levatura intellettuale, la cui comicità riceve una spinta uguale e contraria al proprio contenuto specifico, che meritano di essere riferite.
Una vera litania di lezzi taumaturgici spacciati per verità assolute.
“Raffa ci ha aiutato a scoprire seriamente alla luce del sole il corpo, a liberare corpo e mente della gente: ha cantato e ballato l’amore. Lo ha liberato“. Poi però, consapevole il Micheli di rivolgersi a un uditorio anche parzialmente curiale, ha subito corretto il tiro per non subire la sindrome dei sensi di colpa: “Non c’è colpa per chi ha davvero (si noti: davvero, ndr) amato; ha portato in tv (ecco l’arcano passepartout, ndr.) non soltanto la voce, ma il corpo (repetita juvant, ndr)”.
Poi, forse per giustificare – non ne sono sicuro però – la scelta un pochino azzardata di costruire un’opera lirica raffaellesca nella culla di Donizetti, ha osato una tesi-sfida musicologica e persino teologica : “Nell’opera (Raffa in the Sky, ndr.) c’è un doppio pianeta, terra e Arcadia, proprio come a Bergamo c’è un dualismo tra dovere e piacere, tra anima e corpo“.
Ma la corbelleria più esilarante è stata l’affermazione convinta: “Tra Carrà e Donizetti non trovo una differenza, ma similitudini. Tra le eroine di Gaetano (è l’unico, il brembano Micheli, a chiamare solo per nome, sempre, il sommo compositore, ormai considerato di famiglia dopo nove anni come responsabile del Festival Donizetti), soffocate e sacrificate dal potere e dalla violenza della sua epoca e le emancipazioni del caschetto biondo c’è un nesso di continuità“.
Una tesi come questa non solo non sarebbe ammessa per qualsiasi laurea o concorso di regia, ma sarebbe bocciata anche a un esame di terza media.
Come se tutto ciò non bastasse al deliquio del pubblico, si è unita un’altra autorevole voce ad avvalorare corbellerie su corbellerie: il critico musicale nonché librettista Alberto Mattioli. Ecco il suo un po’ patetico, che voleva esser poetico, dixit: “Dal pianeta di spiriti eletti, dai campi elisi della bellezza dove regna il re Apollo, si decide di mandare sulla terra una donna, la signorina Belloni. Fino ad allora erano stati inviati uomini con pochi risultati“.
E ora mettiamoci sopra una pietra. Tombale. Invitiamo chi crede nel sano divertimento e nella cultura seria a non assistere allo spettacolo Raffa in the Sky. Bergamo (anche senza il titolo pro tempore di capitale) non meritava, non merita, un simile torto mascherato da opera lirica.