“Rembrandt in una storia meravigliosa” Questo è il titolo della mostra che inaugura la riapertura dell’Accademia Carrara di Bergamo dopo l’interruzione forzata dovuta alla pandemia. Il titolo, di suo già così carico di aspettative, mi ha incuriosito e con questo stato d’animo mi sono decisa, in una soleggiata domenica di Agosto, a visitare la mostra. Il pretesto per l’esposizione è dovuta al prestito dell’Autoritratto giovanile di Rembrandt, proveniente dal Rijksmuseum di Amsterdam, ed è anche l‘occasione per rileggere, sotto una chiave diversa, le opere contenute in questo prezioso museo cittadino.
Il primo approccio che si ha con la sede è amichevole, vi sono dei tavoli con delle sedie ad accogliermi nel cortile d’ingresso dell’Accademia Carrara, quasi ad invitarmi ad un attimo di riflessione prima di entrare a contemplare le bellezze che mi aspettano all’interno.
Da sempre l’Accademia Carrara, o più affettuosamente La Carrara come viene definita degli stessi bergamaschi, non è solo la pinacoteca più importante della città, luogo dove poter ammirare capolavori senza tempo, ma è essa stessa il simbolo della collettività e dell’identità Bergamasca. Lo è già dalla sua stessa origine: è una delle poche gallerie o pinacoteche che per stessa volontà del proprietario, il conte Giacomo Carrara, è stata donata alla fine del Diciottesimo secolo alla collettività per essere fruita da tutti.
Premesso questo, come far combaciare l’evento del prestito della tela giovanile del maggior pittore olandese con la storia di questa Pinacoteca? Questa è la curiosità che mi ha spinto ad indagare sul motivo del titolo dell’esposizione.
Il quadro, che dà origine alla mostra, è una piccola tela raffigurante un autoritratto giovanile di Rembrandt. Il percorso dell’esposizione inizia con una breve ma incisiva proiezione delle opere del maestro in cui l’autore si racconta intimamente agli ospiti della mostra. Si passa, seguendo il percorso della collezione della pinacoteca, alla saletta, ricavata ad hoc, che ospita l’autoritratto.
Qui emerge, nel sapiente gioco di luci ed ombre, la tela di ridotte dimensioni ma così carica di fascino e suggestione. Rembrandt è un artista che ha sempre amato il genere dell’autoritratto. Nessun altro artista ci ha lasciato un numero tanto vasto di immagini di se stesso. Dalla sua giovinezza in cui il volto è caratterizzato da quella fierezza e audacia tipica dei ventenni a quelli eseguiti negli ultimi anni della sua vita, quando oramai stanco e con il volto segnato dalle delusioni e dagli insuccessi degli ultimi anni della sua carriera, ha avuto il coraggio di ritrarre senza nascondere, la sua vera natura di “essere umano” così imperfetto, con le sue fragilità e debolezze ma proprio per questo unico nel suo essere.
È in questa chiave che mi piace interpretare un artista così complesso come Rembrandt. Nei suoi ritratti traspare il profondo senso dell’animo umano. Per lui la pittura non è semplice virtuosismo ma un modo per indagare le profondità dell’animo, per carpirne la vera essenza così come è, senza fronzoli e orpelli, anche con le sue imperfezioni e le sue bruttezze. E’ per questo motivo che alcune sue opere hanno quel senso di incompiuto. D’altronde per stessa amissione dell’artista, un quadro poteva intendersi finito “quando aveva raggiunto il suo scopo” quando era riuscito a cogliere l’anima dell’evento rappresentato o della persona dipinta.
In questo autoritratto giovanile, il ventiduenne che quasi si intravede, emerge dall’ombra che gli oscura per trequarti il volto. Ha un aspetto fiero ma allo stesso tempo umano, è uno sguardo carico di speranza per il futuro il suo.
E’ in questa chiave di lettura che bisogna interpretare la volontà di riapertura della pinacoteca. Con lo sguardo audace di un ventenne che ha davanti a se la speranza nella vita che lo attende. Il percorso si snoda verso altre opere, ospitate nella Pinacoteca, di artisti legati al pittore fiammingo. In questa prospettiva acquistano valore internazionale alcune opere appartenenti al museo cittadino prima sottovalutate.
La storia della Carrara è la nostra storia, è la storia di Bergamo che ha voglia di rilanciarsi con lo sguardo fiducioso e carico di aspettative di un ventenne. E’ la storia della nostra città. Da un’analisi delle opere contenute nel Museo vi possiamo scorgere il carattere cittadino, fiero e genuino, alcune volte non amante degli intellettualismi aristocratici tipici di altre realtà ma più intimo, più “nostrano” e per questo più autentico.
Questo carattere lo possiamo trovare nei ritratti che affollano la pinacoteca (eloquenti mi sembrano quelli del Galgario) nei quali possiamo riconoscere quasi dei tratti a noi familiari nelle fattezze e nelle movenze. Lo possiamo incontrare nelle rappresentazioni del Lotto (Veneziano ma bergamasco d’elezione in quanto è solo in questa città che ha potuto esprimere veramente la sua arte).
Attraversando le 28 sale che ospitano capolavori di artisti di fama mondiale, riconosciamo nomi a noi noti (Previtali, Fra Galgario, Moroni, Lotto, Palma il Vecchio) in quanto con il loro prestigio hanno caratterizzato l’odonomastica della città. Ora quei luoghi tanto familiari (basta pensare a Via Moroni, la Torre del Galgario, Via Palma il Vecchio etc) finalmente hanno un volto nelle opere di questi artisti che per nascita o per elezione, si sono legati al tessuto cittadino nel corso dei secoli. Come napoletana ma bergamasca d’adozione anche io mi riconosco nello spirito laborioso ma carico di speranza e genuino di questa città e in questa chiave che mi sembra che il titolo “una storia meravigliosa” abbia senso e pieno compimento.
È veramente una storia meravigliosa, la storia della Carrara ma anche della sua città, Bergamo e soprattutto della fierezza e della dignità dei suoi cittadini