“Penso e scrivo per i posteri” diceva il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860). La sua opera fondamentale “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1818) fu un disastro editoriale. Il successo venne trent’anni dopo con “Panerga e paralipomena” (1851). Era figlio di un ricco mercante di Danzica. Viaggiò molto in gioventù per l’Europa. Si stabilì con la madre a Weimar e conobbe Goethe.
Quale il centro della sua filosofia?
Il divenire della natura. Non siamo noi i padroni, l’io non governa, siamo governati da una volontà irrazionale. Noi siamo soggetti illusori coi nostri desideri. Viviamo in un mondo di rappresentazioni. Prima si accettava un ingenuo realismo: conosciamo la realtà com’è. Invece la natura è un inarrestabile divenire, non c’è nessuna ragione se non la soddisfazione dei desideri.
Già prima si parlava di rappresentazione
Cartesio diceva che noi facciamo le domande alla natura e otteniamo risposte, formuliamo ipotesi e ricaviamo leggi. Galileo preciserà: conosciamo per idee chiare e distinte, che vengono dal misurare, quantificare. Alla regina Cristina di Svezia che obiettava di non conoscere il proprio corpo secondo idee chiare e distinte Cartesio rispondeva: si vede che nonostante il suo rango lei pensa ancora come il popolo. Per Cartesio il corpo è carcere dell’anima, che dà informazioni sensibili non attendibili: non posso basarmi sulla mia sensazione di freddo e di caldo per calcolare la temperatura ambientale. Ancora Goethe sostiene che la struttura dei colori dipende dall’occhio che vede (Sulla visione e i colori 1814).
Come vede Schopenhauer il corpo?
In esso si manifesta la forza della natura che regola il mondo. La natura è potenza sovrabbondante, produttiva, irrazionale, che cresce sui cigli delle strade. E’ in continuità con Spinoza (conatus) e Leibniz (vis). A proposito dell’uomo Schopenhauer parla di bisogno, desiderio, pulsioni direbbe Freud, mancanze per Lacan. Sono i bisogni indotti della società dei consumi. Bisogno è fatica e dolore; una volta estinto diventa noia. Parafrasando il precetto cristiano, dei sette giorni della settimana sei sono per la fatica il settimo è per la noia. Ideali, valori, leggi morali sono inganni, compromessi per evitare la belligeranza. La natura inganna l’uomo con l’appetito sessuale, serve solo per la specie.
Cosa dobbiamo fare?
Accettare ciò che accade come insegna la saggezza orientale. Le Upanishad sono edificanti. Dobbiamo avere compassione nella consapevolezza che il dolore non è individuale. Godiamo dell’arte che porta fuori dallo spazio e dal tempo; le opere d’arte ci portano godimento anche se non sono nostre. Impariamo con l’ascesi. Riprende S. Paolo: “Non tu porti la radice ma la radice porta te”. C’è un al di là della nostra esistenza che ci fa esistere con i nostri bisogni, ma restano sempre autoinganni.
Come spiegare il pessimismo di Schopenhauer?
Con gli avvenimenti del tempo segnato da ripetute rivoluzioni e restaurazioni, dalla Rivoluzione francese ai moti del ’48, alle aspirazioni di unità nazionale, e i vari fallimenti. Schopenhauer eredita e anticipa la filosofia del sospetto. “Espandi la vita più che puoi e se sopraggiunge il dolore reggilo senza metterlo in mostra” (detto greco). La natura è indifferente (Pascal); è una danzatrice senza fedeltà e memoria (Goethe). Canta Leopardi “Oh natura natura, perché di tanto inganni i figli tuoi?”. Nietzsche parla di autoinganno, di maschera; le illusioni sono strategie di sopravvivenza; “liberiamo il Dioniso che è in noi”. Schopenhauer anticipa Freud: noi siamo prigionieri di pulsioni, di eros (pulsioni sessuali) e thanatos (pulsioni di aggressività, di morte); dobbiamo passare dal principio del piacere, che è soddisfazione immediata del bisogno, al principio di realtà che è accettazione di ciò che è.
A cura di Mauro Malighetti
(Tratto da Raiscuola Zettel del 26/3/2016)