Sono iscritto al PD dal 2010. Ho concorso a vari tipi di primarie e dato una mano nelle campagne elettorali di due candidati consiglieri regionali nel 2013 e nel 2018, perdendo sempre per una manciata di voti. Non ho mai cambiato partito, tanto meno fondato uno nuovo (anche perché non me lo posso permettere). Nonostante questo non mi sono mai permesso di inveire contro gli elettori che non capiscono. Casomai ho affogato i miei dispiaceri in una birretta, ma giusto un paio di volte. Perché a volte si vince e a volte si perde. Bisogna imparare ad accettarlo.
Di solito i proletari oppure i loro figli, come nel mio caso, tutto ciò lo imparano già nei banchi di scuola del Pesenti o dell’Itis, dove si sa, non c’è spazio per i depressi o i complessati dei licei pre universitari. Gli tocca imparare ad adattarsi già dall’adolescenza perché non si hanno consulenti legali in casa e nemmeno santi in paradiso o in zona intermedia. Poi se per caso uno di questi, dopo qualche anno, al posto di seguire la massa dei suoi colleghi di reparto e riversarsi nella Lega crede ancora che il voto a sinistra sia indice di redistribuzione del reddito e tassazione progressiva sembra una mosca bianca.
Appartengo alla cerchia di chi non mastica il linguaggio del politically correct, che non ha una formazione liceale, ma ahime (lo dice la Costituzione) il nostro voto vale quanto il loro. Ci rincresce, caro Gori, ma funziona così. Alla luce delle sue dichiarazioni dallo scranno di sindaco di Bergamo di ieri sarei in attesa di sapere dai vertici provinciali del partito se posso rinnovare la tessera PD l’anno prossimo oppure stare nella melma del mio basso lignaggio. Pensavo di poter ambire un giorno ad uno strapuntino in qualche partecipata. Ma evidentemente non ho il quid.