Da qualche giorno mi astengo dal pubblicare riflessioni sul difficile e drammatico momento che stiamo vivendo. Premetto che sono consapevole delle legittime critiche che la mia poverissima opinione può sollevare, non voglio però rinunciare a esprimerla e a metterla sulla tavola della discussione.
Quando scrivo di guerra, mi trovo sempre impreparato. Può essere che io sia vittima della cultura contemporanea, nella quale le emozioni – a volte – prendono il sopravvento. Devo confessare che il primo pensiero è per le vittime, di ogni parte: la violenza distrugge vite, famiglie, speranze, legami, affetti, e non solo per l’immediato presente. Ci sarà odio, rancore, voglia di vendetta, rese dei conti. Lo abbiamo provato anche noi al termine del secondo conflitto mondiale. Certe ferite restano, faticano a rimarginarsi. Per il poco che possiamo, dovremo contribuire non soltanto alla ricostruzione di un Paese, l’Ucraina, che è stato raso al suolo. Dovremo anche lavorare per rigenerare alleanze. In parte lo stiamo facendo, ma la strada sarà lunga.
In queste ultime settimane ho ascoltato e letto interventi di vario genere. C’è qualcosa ultimamente nelle discussioni che vengono proposte che mi lascia perplesso. La dimenticanza dell’inizio. E’ la Federazione Russa, con l’appoggio della Bielorussia, che ha invaso un Paese sovrano, e lo ha fatto con la pretesa di riprendersi il mal tolto, mentendo all’opinione pubblica e isolandola – per quanto possibile – dal resto del mondo. Se non teniamo presente questo non siamo a posto con la coscienza. Inutile cercare scuse nell’allargamento della Nato, perché sappiamo che questo accordo è per la difesa, non per l’offesa. Inoltre, la scelta di entrare in questa alleanza viene dai Paesi che ne sentono l’esigenza, proprio perché si sentono minacciati e sanno che da soli non riuscirebbero a difendersi.
La Russia avrebbe potuto estendere la propria influenza rafforzando la propria difesa, creando alleanze con i Paesi vicini. Non è riuscita perché quei Paesi non si fidano della Russia del presidente Putin e non perché sono stati comprati dagli Usa. Guardate, io non sono un fan degli Usa, ritengo anzi che molte scelte di politica estera portate avanti da quel Paese siano state quantomeno piratesche. Non ci sono guerre meno meschine delle altre. Ma trovare scusanti ai massacri compiuti in questo ultimo mese da Putin mi sembra onestamente intollerabile. Trovo anche indigesto l’atteggiamento di chi vede l’invio di armi alla resistenza ucraina qualcosa di strano. Non voglio giustificare l’uso delle armi in assoluto, però provate a pensare se non ci fosse stato qualcuno che ci avesse aiutato durante la nostra Resistenza. Anche noi siamo stati invasi, abbiamo sperimentato il disprezzo, l’oppressione e non ci siamo rassegnati a rimanere asserviti, e qualcuno ci ha aiutati, da soli non ce l’avremmo fatta.
Le armi non sono mai una soluzione, anzi, ma se qualcuno ti chiede “aiutami a non farmi ammazzare”, perché quello l’invasore vuole, allora la scelta è difficile ma doverosa. La politica ha il dovere di pensare alla sicurezza dei cittadini, proprio per arginare l’arroganza di chi vuole espandere il proprio potere con la violenza e la guerra. Soltanto a margine osservo che le teorie sulle “democrazie illiberali” dovrebbero essere rimesse in discussione dopo gli ultimi tragici eventi. Gli autocrati, prima o poi, diventano pericolosi. Prima però danno segnali di inaffidabilità, che sono stati prontamente ignorati dall’Europa, con qualche rara eccezione. D’altra parte, ormai lo sappiamo, i soldi in Europa vengono prima di tutto. Se dovessimo mai scrivere una Costituzione Europea, dovremmo mettere come fondamento la moneta.
Ora arrivo alle parole del Papa. Egli ha pronunciato parole inequivocabili in questi giorni. Ha anche proposto di abolire la guerra dalla storia umana, perché altrimenti sarà la guerra a far sparire l’uomo e la sua storia. Lo so, molti hanno liquidato queste parole dicendo “il Papa fa il Papa”, dissolvendo la forza di quel discorso in una tautologia perbenista e tollerante. Mi permetto di dissentire da discorsi come questi. Il Papa ci ricorda in modo pressante che, il fine della storia – secondo il cristianesimo – è l’uomo e la sua libertà, la sua dignità. Questo non si conquista mai con la violenza, ma con l’alleanza. Credo sia giunto il momento, e qui il Papa ha ragione, di stringere un’alleanza affinché gli uomini e le donne non vengano mai calpestati per delirio di potere. In questo senso ha più volte scritto e detto che le risorse vanno condivise, non sprecate o, ancora peggio, accumulate a sfavore di altri. Quello che il Papa propone è un cammino alternativo, che può essere finanziario, economico, ma prima di tutto politico. Isaia vede il monte del Signore, su di esso le spade diventano strumenti per la coltivazione della terra, questo vede il Papa, ed egli si augura che si arrivi a una svolta che si basi su questo.
Lo so, siamo visionari, vi prego tuttavia, lo chiedo soprattutto ai giovani, di continuare a sperare. Sino ad ora non c’è stato dittatore o autocrate tanto potente da poter cancellare quel sogno di Dio, che è poi ciò che tutti noi in fondo speriamo. Ultimo inciso. Meno male che c’è il Papa, le Chiese Nazionali Ortodosse non stanno dando di sé un’immagine particolarmente significativa. L’eccezione è il Patriarca di Costantinopoli, forse perché ha provato e prova il nazionalismo turco.