Biondi immobiliare
Ho terminato ora di riordinare la lettiera delle vacche nella nuova stalla di Francesco a Recüdì. Il lavoro di pulizia consiste innanzitutto nell’asportare il letame, trasportandolo con la moto-carriola (un tempo si usava la carriola tradizionale, da spingere a forza di braccia, e, prima ancora, la barèla) dalla cönèta dol rüt sino alla concimaia nel prato, per poi ricoprire il pavimento della stalla, dove le vacche sono alla catena, con un nuovo strato di fogliame essiccato.



Anziché depositare il letame nell’apposito spazio coperto, costruito quale prolungamento laterale della stalla, ma attualmente occupato da una quindicina di agnellini di pecora massese, viene trasportato nella méssa dol rüt improvvisata, ma ugualmente ordinata, nell’ultimo spiazzo a levante della nuova costruzione. Si tratta di una soluzione di ripiego, inizialmente non prevista, poiché non è stato ancora collocato l’ampio gabbione metallico per il ricovero delle giovani pecorelle sino allo svezzamento. Questo fatto mi offre lo spunto per una riflessione sulla necessità, per le piccole aziende zoo-casearie di montagna, di far fronte ogni giorno a situazioni imprevedibili e sulla capacità degli operatori – piccoli allevatori e agricoltori – di dover trovare sempre una soluzione. Ogni giorno essi devono rimboccarsi le maniche e affinare il pensiero, perché lavorare significa ricercare e mettere in atto soluzioni organizzative e tecnologiche diverse, creative, in relazione ai bisogni e alle circostante contingenti. Il significato dell’espressione “Scarpe grosse e cervello fino”, riferita agli abitanti della montagna, va ricercato nella loro capacità di produrre e sostenere molto lavoro (scarpe grosse, anzi scarponi), ma con arguzia, acume e intelligenza (cervello fino).

Il bacino dell’Alta Valle Imagna visto dalla sede dell’Azienda Agricola Recudino.

Ogni giorno è da pensare, programmare e costruire: aspetti non disgiunti o separati nella vita delle persone, ma compresenti nell’azione. La montagna tende ancora a esprimere un ambiente assai grintoso, vissuto e modellato da persone intraprendenti, portatrici della cultura del “fare”, anzi del “saper fare”, per ottenere risultati concreti e funzionali. Bando alle ciance! Formatisi sulla piccola proprietà contadina, i montanari non avevano, come i braccianti alla Bassa, padrone, fittavolo o fattore che imponevano loro ciò che avrebbero dovuto fare, giorno dopo giorno, ma sono stati costretti a diventare presto imprenditori di loro stessi, per migliorare quei piccoli fazzoletti di terra – di poco interesse per i latifondisti – che hanno saputo trasformare in una sorta di “paradiso terrestre”. Un sano proverbio popolare, ancora in uso tra la gente comune, recita: E bàle le ‘ndà bé ‘nféna a öndes e mèzza, perchè a mesdé ga öl la polénta sö la tàola! Lo conoscevano bene le massaie e le mamme di un tempo, cui è rivolto oggi, dieci maggio, il nostro devoto ricordo, quando molte volte si trovavano a dover improvvisare ol desnà o la séna con quel poco che avevano a disposizione, per saziare i numerosi commensali. La forte dose di realismo – la gente di montagna ha sempre avuto i piedi per terra – si è però combinata con la capacità non trascurabile di trascendere le cose concrete e l’altrettanto deciso idealismo, un tempo connesso anche ad una visione religiosa della realtà, ha consentito alle generazioni passate e permette tuttora di costruire una “visione” della valle, più in generale del mondo, cui orientare la vita di tutti i giorni. Realismo e idealismo sono andati a braccetto nella quotidianità dell’esistenza e l’ambiente esterno, che ancora oggi ci è dato di osservare in paesaggi da fiaba, è il frutto di un’intensa attività ideativa e costruttiva, tradotta in una tradizione insediativa che dura da più di due millenni. Nulla è casuale di ciò che osserviamo al nostro intorno, durante una passeggiata soprattutto in Alta Valle Imagna, bensì rappresenta il frutto di un grande progetto di vita delle comunità locali all’interno del catino del Resegone. Non esiste la natura come espressione a se stante, sganciata dalla vita e dal lavoro dell’uomo. C’è la consapevolezza di trovarsi di fronte a un ambiente voluto, idealizzato, infine modellato, con la forza delle mani e del pensiero, su misura delle specifiche esigenze delle famiglie locali e delle necessità imposte dal diritto alla sopravvivenza. Le generazioni che ci hanno preceduto non hanno saputo solo “vivere in alto”, bensì sono state capaci soprattutto di “volare in alto” e di “pensare alla grande”, trascendendo le situazioni contingenti. La valle, circondata da monti e crinali, è stata vissuta non come una prigione, ma quale privilegiato punto di partenza da cui spiccare il volo.

La preparazione della polenta sulla vecchia stufa economica…

La montagna prealpina orobica manifesta diversi volti, che si diversificano da una valle all’altra nell’aspetto della dimensione rurale, anzi da un villaggio all’altro, persino da un versante all’altro nello stesso paese, nel succedersi di paesaggi anche assai differenti, ciascuno dei quali condizionato da specifiche circostanze di tempo e di luogo. La “lettura” di tali contesti ci trasmette il senso di tanto lavoro! Alcuni ambienti, in particolare, riflettono persino l’idea di perfezione e sarebbe difficile togliere o aggiungere qualcosa alla loro meravigliosa conformazione. Respiro questa sensazione ogni qualvolta, percorrendo la strada del Baghìna, attraverso il praticello con stalletta e castagneto di Francàp. Il “miracolo” accade soprattutto se riusciamo a cogliere la dimensione storica nella quale siamo inseriti, come ultimo anello di una catena umana, di vita e di tradizione, che si trasmette dai tempi antichi e che non possiamo permetterci di interrompere. Quando il lavoro non c’era, i montanari hanno saputo inventarselo, tanto nel villaggio (migliorando continuamente l’aspetto e la produttività dei piccoli poderi), quanto varcando i lontani confini della frontiera nazionale. Basti pensare ai significati e ai valori della costante azione di terrazzare estese aree di territorio, mediante la costruzione di chilometri di muri a secco, fortificando interi versanti ripidi e scoscesi, per renderli fertili e funzionali allo sfruttamento agrario. Essi rappresentano l’espressione concreta di un sogno. Il sogno e la realtà si sono incontrati nella sintesi di contesti umani ad elevata qualità ambientale, che costituiscono ancora oggi, a distanza di molti secoli, punti di riferimento essenziali per la ricostruzione dell’identità e della storia di un popolo. Il sogno continua, vola alto, va oltre la realtà e s’innalza verso il Cielo. Per le popolazioni che ci hanno preceduto, ha significato sviluppare la capacità di ripensare la realtà, per ridisegnarla e consegnarla in modo diverso alle generazioni successive: dalla superficie boscata in forte pendio di un tempo a un ambiente più accogliente, coltivato a campo o a prato, dal quale ricavare ulteriori risorse produttive. I montanari, stimolati da condizioni di vita non facile, hanno sviluppato nei secoli la capacità di “intravvedere”, oltre le situazioni contingenti, una possibile e diversa fisionomia del territorio. Dal bosco originario, selvaggio e persino inaccessibile, hanno saputo percepire la possibilità di realizzare un campo, iniziando così l’immane opera di disboscamento dei lotti migliori e bene esposti al sole. Dal ripido pendio hanno intravisto la possibilità di realizzare pianori meglio accessibili e così è iniziata la gigantesca opera di terrazzamento di interi versanti. Interventi strutturali di enorme grandezza, frutto dell’ingegno e della forza di primordiali figli della valle, che hanno agito da titani. Hanno espresso una capacità intellettiva notevole, che ha consentito loro di destreggiarsi abilmente anche nelle situazioni più difficili, per non arrendersi di fronte alle difficoltà: con l’arma del lavoro, rivelatasi assai efficace, si sono battuti eroicamente, sino all’esaurimento delle forze fisiche, per la difesa della propria esistenza, della terra e della famiglia. Con forti motivazioni alle spalle, tanto coraggio e una grande fede, hanno messo a frutto il lavoro diretto e il sacrificio personale, esprimendo capacità di adattamento e abilità artigianali di prim’ordine: è così che hanno rimodellato l’ambiente esterno, imprimendo su di esso nuove forme e contenuti vitali.

La pulizia del pascolo nella selva castanile

Per mio padre il sogno è stato quello di possedere la propria stalla, dove allevare alcune vacche, cui ha fatto seguito la seconda, poi la terza, coltivare l’erba del prato circostante, tagliare e tenere ordinato il bosco. La stalla, il prato, il pascolo e il bosco sono stati la sua vera “casa”, il centro delle tante attività, la vita per se e la famiglia. Così è stato per il nonno e la sua lunga ascendenza nella storia del villaggio. Così continua a essere oggi per mio figlio: le condizioni cambiano, ma il sogno rimane e si trasmette, passando da una generazione all’altra. A nostra insaputa, partecipiamo inconsapevolmente al grande progetto di vita della valle, dentro una storia personale e familiare che evolve e si rigenera. Mirella, mia moglie, ogni tanto ricorda quanto le disse un giorno, oltre trentacinque anni or sono, suo padre, mentre io, poco più che ventenne, ero in Alto Adige a fare il soldato: Ah… e l’só mia se chèl tus e l’fà per té! Cèrto che se te spùset ü Aldemàgn, te gh’avré sémpre ergót de maià!… Poi mi ha voluto bene come a un figlio. Dietro quell’espressione, resa nella spontaneità di relazioni familiari da un uomo saggio, appartenente alla generazione che ha conosciuto la guerra e la fame, c’era lo spontaneo riconoscimento della condizione di un popolo intero, che con il lavoro e l’impegno quotidiano, sempre frutto di conquiste, ha saputo inseguire un sogno, alla continua ricerca del benessere personale, familiare e sociale. Con determinazione e senza indugio. La proverbiale capacità di fare dei valligiani e la loro forte inclinazione al lavoro li ha resi degni di rispetto agli occhi degli altri.

L’esbosco della legna destinata al focolare domestico. Bravo Ugo!…

Le soluzioni migliori sono state il frutto di scelte prese nelle situazioni più difficili. Occorreva costruire un riparo stabile e duraturo per mèt sö cà e faméa? Niente di meglio che scavare nel sottosuolo per estrarre le pietre che hanno dato vita a uno stile costruttivo unico nel suo genere: ciascuna esperienza, quando non è il frutto del modello “copia e incolla”, che oggi va per la maggiore, ma nemmeno espressione della ricerca eccessiva di protagonismo personale, esprime unicità ed è destinata ad essere consegnata alla storia. In questo modo sono giunte sino a noi, attraversando secoli di storia, architetture geniali, capaci di soluzioni strutturali originali, espressioni della cultura diffusa del “saper fare” e di una grande capacità ideativa.

Elementi di architettura rurale della Valle Imagna

Occorreva provvedere al sostentamento della famiglia? Cosa c’era che non potevano offrire il bosco, il prato, il pascolo, il campo, la selva castanile,…? Bastava disboscare quanto occorreva, poi diceppare, quindi coltivare, allevare, pascolare, infine costruire la stalla… Così sono nate quelle “isole colturali” distribuite un po’ dovunque sui versanti della valle, gravitanti attorno alle aree d’influenza delle diverse contrade.
Occorreva rimediare a una cagliata non riuscita? Per evitare di buttare via la pasta ottenuta, ormai raffreddatasi, i nostri antenati hanno provato a mischiarla con quella successiva, ottenendo così nuovi prelibati prodotti, come il Salva o lo Strachitùnd, riconosciuti unanimemente quali espressioni mature di un’elevata cultura casearia. Da uno stato di necessità, scatta la molla dell’inventiva personale, in grado di produrre una contingenza inaspettata e favorevole, tale da invertire il corso degli eventi e in grado di trasformar una situazione di difficoltà in una nuova chance.

Stracchini, formaggelle e altri prodotti caseari, artigianali e genuini, nei piccoli caseifici di montagna

Mancava il foraggio sufficiente per alimentare la mandria, che nel frattempo era cresciuta, durante il periodo invernale? Si va alla Bassa, dove nelle cascine il foraggio è abbondante: sarebbero ritornati, quei bergamini, a respirare l’aria fina dei pascoli, sulle loro quote alte, la primavera successiva… Così ha preso forma una tradizione zoo-casearia che, in certi periodi, ha persino caratterizzato il mercato nazionale e internazionale dei latticini.

L’allevamento promiscuo in montagna di vacche di razza grigio-alpina e di pecore massesi

Dal sogno alla realtà o, viceversa, dalla realtà al sogno, il passaggio è stato possibile. Sogno e realtà, idealismo e realismo sono stati due aspetti tutt’altro che antitetici nella vita dei valligiani, bensì hanno rappresentato due tensioni compresenti nell’azione quotidiana. Se così non fosse stato, l’uomo non avrebbe vinto la sfida di risiedere stabilmente alle quote alte, non avrebbe cesellato paesaggi di così limpida bellezza, non sarebbe riuscito a realizzare ardui progetti con così poche risorse a disposizione, oppure a caricarsi sulle spalle immani lavori per ottenere molte volte risultati all’apparenza esigui. Sogno e realtà, idea e progetto, pensare e fare hanno rappresentato un tutt’uno nella vita degli abitanti della montagna. Senza cadere nel paradosso dell’uovo e della gallina, non si può sempre relativizzare la presenza operosa dell’uomo in montagna, come il semplice frutto di azioni meccanicistiche, di causa ed effetto, imposte da una natura difficile e pure ostile. E’ vero, ma l’uomo ha saputo andare oltre, osando molto di più, attratto dalla ricerca di un nuovo equilibrio ambientale, bello e non solo utile, come vivendo dentro un sogno, ad occhi aperti. Il sogno di casa propria, che molti conterranei, non potendo concretizzare nel villaggio natio, hanno continuato a ricercare spiccando il volo verso altri Paesi d’Oltralpe e d’Oltreoceano, indagando contesti diversi e lontani per trovare il loro posto nel mondo. La ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro li ha spinti a varcare, con coraggio e ottimismo, molte frontiere, sempre con l’idea del ritorno, che per molti è rimasto purtroppo solo un grande anelito e tormento dell’animo. E bravi, i nostri montanari, per avere amato la loro terra così tanto, al punto da costruire su di essa il sogno della loro vita.
La vita della montagna continua…
(Antonio Carminati, Direttore del Centro Studi Valle Imagna)



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Antonio Carminati

Direttore del Centro Studi Valle Imagna

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