Sul Monte Purito, a Selvino, la prima volta ero salito per prati, dalla parte della funivia, a passo deciso. Era un allenamento. Il terreno si alzava a gradoni, forse prima si coltivava patate o mais perché anche qui la polenta in tavola era d’obbligo. Stavo sbucando sul successivo pianoro quando ho sentito un trambusto nell’erba accanto me, si era in pieno agosto, poi un botto sotto come per un salto. Non so che diavolo di biscia fosse, ma ho perso l’entusiasmo del passo.
Oggi seguo il sedime in cemento con le zigrinature antiscivolo. A metà ho incrociato una gip. Mi sono fermato e ho dato uno sguardo al paese. La via Milano, che viene da Nembro e un tempo gremita quasi procedendo a spintoni, è percorsa da gruppetti frazionati. Si distingue la Chiesa dedicata agli Apostoli Filippo e Giacomo, il Minore non l’altro Giacomo, di Compostela. La facciata fu rifatta dall’architetto Angelini agli inizi del ‘900 con ampio porticato. Allora la chiesa era circondata da pascoli. Di notevole ha una tela di Francesco Zucco, pittore di Bergamo, coetaneo e amico del Salmeggia e del Cavagna. Si tratta di un’Annunciazione, con l’angelo che cala dall’alto e la Madonna in contemplazione. La vaschetta e cuscino con panno bianco nell’angolo alludono al parto.
Vado cercando l’agglomerato vecchio attorno alla piazzetta – Rialto si chiama – crocevia di strade, da Rigosa, da Albino e vi confluivano quelle di Aviatico e di Salmeggia, le medievali “vie dei mercanti”.
S’impenna la strada per Aviatico dove rimasi bloccato con il furgone nel trasloco. Nevicava. Mi dissero a consolazione: “prepara gli sci!”. Sul finire degli anni ’70 a Selvino si respirava voglia di sport. Giravano campioni e si producevano campioni. Ma già, alle avvisaglie di neve carente, si approntava la pista in plastica. Arrivavano i milanesi; non solo delle ville e degli alberghi ma quelli delle case che si moltiplicavano. I milanesi portavano soldi e idee. L’Italia vinceva i mondiali di calcio e qui atterrava l’Inter di Facchetti e Mazzola. L’edilizia continuava a espandersi assorbendo manodopera dai dintorni.
Sentivo parlare di strade, piano regolatore, varianti, di Consigli comunali infuocati.
La stazione della funivia oggi in manutenzione resta nascosta. Fu inaugurata nel 1957. E’ sulla strada di Ama che aveva visto nascere e tramontare nell’arco di poco tempo la pista di go kart. Troppo rumore per i villeggianti che cercavano la pace della montagna.
La Cornagera risalta nel verde, guglia riconoscibile da lontano, fantasma comparsa per lacerazione o come affiorata dal suolo, spunto di storie per incantare o spaventare i bambini. Non c’è amante di montagna che non l’abbia visitata e provata, a parte gli allenamenti nelle palestre attrezzate. Soprattutto attrae lo spuntone, lo scoglio piramidale su cui si esercitano i rocciatori. Ogni volta che sono passato ho sempre visto qualcuno aggrappato o appeso con l’esperto a suggerire e consigliare. Gli agenti atmosferici continuano il lavoro di erosione e inventano passaggi nuovi e figure. Intorno il ghiaione tiene il bosco distante. Roccia dolomitica sedimentatasi nel mare e poi emersa. Non c’è acqua -“te la devi portare come sulla Presolana”; l’acqua scorre nel sottosuolo, fatto di cavità e fratture.
Una volta un ragazzo che accompagnava il papà a caccia mi portò nel bosco per farmi vedere le gane o pozzi nella roccia, saggiamente nascosti e protetti. Ne liberò una, dietro un cespuglio, gettò un sasso. Ci vollero diversi secondi per sentire il colpo sul fondo.
Ci sono passaggi, nascondigli, grotte che l’uomo ha frequentato dall’antichità. Mi portarono un ferro, appuntito da una parte, leggermente piegato dall’altra: “l’abbiamo trovato sul campo di calcio”. Sembrava un chiodo. Lo mostrai alla collega di storia con la passione per l’archeologia: “sì, è di epoca romana o anche prima”. Mi informò dei ritrovamenti di una grotta ad Aviatico, “scontato se si pensa che dalle miniere di Dossena si portavano ferro e altri minerali in Val Seriana dove venivano lavorati”. Al Cantul, dove ricordo un vecchio crocifisso in legno, la via mercatorum piegava verso Amora e poi Ganda.
Amora, sotto la Cornagera, sembra appoggiata su un terreno inarcato e il sole la riscalda d’inverno facendo nascere dovunque primule. E’ divisa in due con la Chiesa a metà. La parte alta è congiunta alla bassa da una mulattiera, mica male mi sembrava, che sale da Bondo Petello. Ricordo il rito che si ripeteva – chissà da quando? – la domenica pomeriggio quando dopo la funzione pomeridiana si andava al cimitero, poco distante. In fila si scendeva, in ordine: i ragazzi, i giovani, le donne, gli uomini, il prete. Un fazzoletto di terra. La gente si disponeva ognuno sulla tomba dei propri cari, quindi la preghiera e la benedizione. Un altro modo per rinsaldare la comunità.
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