In questo anno di pandemia parte dell’attenzione è stata rivolta a tutte quelle persone che, a causa dell’isolamento come forma preventiva, hanno subito e stanno tutt’ora subendo le conseguenze dello stare chiusi in casa. Si parla dei ragazzi che con la Dad stanno vivendo una scuola in casa, con le relazioni sociali ridotte ai minimi termini; lo smart working che assieme ai suoi vantaggi vede il mondo del lavoro cambiare, fino ad arrivare alla consapevolezza che i nostri anziani rimangono sempre in casa spaventati e soli. Tutto ciò ha conseguenze dal punto di vista sociale, cognitivo e motorio. A fianco a quest’ultima categoria della popolazione, assieme alle loro famiglie, c’è una altra: quella dei volontari che quotidianamente sono inseriti nei territori per spendere il loro tempo a loro favore.
Ma sorge una domanda che andrebbe presa in analisi: quanto i volontari sono attrezzati dal punto di vista psicologico ed emotivo nel fronteggia la solitudine che la pandemia sta generando? Lo chiedo in quanto mi sono ritrovata a discutere con un assistente sociale che lavora presso un comune bergamasco e nel guardare insieme le criticità del suo territorio, era emerso che proprio i volontari durante la pandemia erano soli, poco o niente attrezzati dal punto di vista emotivo e psicologico, nell’assistere gli anziani che per mesi erano chiusi in casa. Gli stessi che mesi prima raggiungevano quasi quotidianamente, all’improvviso erano difficili da contattare non solo fisicamente ma anche relazionalmente. Di fronte a tanta paura e isolamento, non basta più la buona volontà; le relazioni si sono interrotte improvvisamente, i ponti comunicativi sono stati tranciati e riallacciarli diventa quasi impossibile.
C’è bisogno allora di attrezzare questo volontari dal cuore grande, ma che spesso sono lasciati soli con le loro incertezze e affiancarli nel scoprire quali risorse hanno per poter fare si che riescano a ricostruire quei ponti interrotti, quelle relazioni amputate con i loro assistiti. Per fare questo ci vorrebbe formazione, competenza e tempo, ma soprattutto fiducia in loro.
Il mio vuole essere uno spunto di riflessione personale per poter immaginare un modo nuovo di stare vicino agli anziani del territorio, che in casa possono ritornare a vivere una vita ricca di relazioni buone e sane. In questo i volontari possono essere ancora una volta una risorsa sociale davvero importante. Il counseling per il volontario potrebbe allora essere uno strumento importante nelle relazioni di aiuto per prendersi cura di chi si prende cura e lo fa in modo silenzioso e gratuito.
«That’s a pretty tall order» (“Questo è un compito piuttosto arduo”) – Paul Palmer – e, pensandoci bene, quella di voler dare un accompagnamento relazionale ai volontari è sicuramente un lavoro non facile soprattutto in un periodo come questo dove proprio queste persone cosi speciali sono assalite, nello svolgimento delle loro mansioni, da imprevisti quotidiani, richieste urgenti di aiuto e carenze finanziarie dovendo far fronte a tutto nel più breve tempo possibile. Eppure, come mamma e professionista, sento che questa impresa è possibile avendo sperimentato, durante il mio periodo di malattia legata all’infezione da Covid 19, quanto la solidarietà sia la linfa vitale della nostra società.
Mi metto quindi a disposizione gratuita per un servizio di counseling per i volontari bergamaschi. Il tutto tramite Socialbg a questa la mail. I volontari che hanno voglia di raccontarmi le loro storie, possono scrivermi mettendo nell’oggetto dalla mail ” servizio di counseling per i volontari bergamaschi “, accompagnati dalla consapevolezza che le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere solo se non affrontate da soli. Come ha ben indicato Papa Francesco nella enciclica “Fratelli Tutti” noi siamo chiamati a invitare e ad incontrarci in un “noi” che sia più forte della somma di piccole individualità”.