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Filosofia e etica di Albert Schweitzer. Lezione di Enrico Giannetto

Fu musicista ed interprete affermato di Bach, pastore luterano e teologo, medico e filantropo. Il suo sogno fin da giovane era di andare in Africa e costruire un ospedale. “Inspiegabilmente mi veniva da pensare che mentre tante persone intorno a me lottavano visibilmente col dolore e con la preoccupazione io potevo condurre una vita felice. Un radioso mattino d’estate a Grünsbach durante le vacanze di Pentecoste – era il 1896 – mi aggredì appena sveglio il pensiero che non potevo accogliere tale fortuna come un fatto naturale ma dovevo fare qualcosa in cambio”. A trent’anni realizzò il suo sogno. Andò in Gabon e vi rimase fino alla morte. Nel 1952 gli fu assegnato il Nobel per la pace.

Schweitzer incarna la filosofia come vita. In auge negli anni ’70 merita di essere raccontato ancora. Applicò le parole evangeliche: “se qualcuno vuol venire dietro me rinneghi sè stesso, prenda la sua croce e mi segua; perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la troverà” (Matteo 16, 24-27).

Contro Schopenhauer Schweitzer segue Nietzsche nel suo totale inno alla vita. Comprese con Nietzsche che bisognava giudicare delle varie prospettive filosofiche in base alla loro affermazione o negazione della vita e del mondo.  Era contro la morale tradizionale che insegue una felicità individuale e nega la sofferenza e la morte. Schopenhauer seguiva il Buddismo.  L’uomo deve liberarsi da pensieri e sentimenti che lo agitano, distaccarsi “perché nascere è dolore, crescere è dolore, morire è dolore”.

Nietzsche critica il Cristianesimo che propone una morale da schiavi, la rassegnazione e il perdono. Schweitzer però ritiene positivo e rivoluzionario il Cristianesimo. Il Budda non cura l’infermo, non servirebbe; la sua cura è staccarsi  dalla realtà. Il buon Samaritano di Gesù si ferma e assiste il ferito della strada. L’etica cristiana abbatte le gerarchie e i privilegi, invita alla cura e all’amore degli altri. Schweitzer predicò l’etica del regno. Qui deve essere come in Paradiso.

Dio non è entità astratta ma esperienza di vita, noi giudicati da come avremo vissuto, secondo il bene fatto o non fatto ai fratelli (Matteo 25). Schweitzer diceva di aver appreso idee smorte dalla morale kantiana o dal cogito cartesiano Trattano enti astratti, pensieri privi di contenuti. Il pensiero è sempre pensiero di qualcosa, la vita è fatta di gesti concreti, bene è ciò che la conserva, male se la distrugge. Noi siamo viventi che abbiamo bisogno di vita intorno.

Il pensiero metafisico, spiega Nietzsche, nasce dal desiderio di immortalità, con Dio garante. Resta una volontà per l’anima non per il corpo. Schweitzer invece sottolinea che il Cristianesimo invece tiene presente il corpo, parla di resurrezione dei corpi. La volontà di vivere non è generica, la vita è dove tutti vivono, dove si rispetta la vita (l’Ehrfurcht di Kant). Non si separa fratello da fratello.

Anche Max Scheler voleva fondare un’etica non meramente formale ma con contenuti affettivi e materiali. Parlava di rispetto legato al sentire, di scelta che si concretizza, senza restare vuoto pensare. Si rifaceva all’ ordo amoris di Sant’Agostino, cioè una gerarchia di valori. Ma puntando all’amore spirituale il rischio era di svalutare l’amore concreto. L’amore per lo Stato, per esempio, è più alto dell’amore per il vicino, ma si finisce per inneggiare alla guerra in nome della Patria. Schweitzer voleva un amore antigerarchico, amare ogni essere nella sua singolarità. La vita va rispettata dovunque e vale comunque. La vita per lui non è solo quella degli uomini. Va arginata ogni forma di violenza: “il lupo dimorerà con l’agnello, la vacca e l’orsa pascoleranno insieme, il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi” (Isaia 11).

La base è la compassione, la ragione del cuore di Pascal. La vita è sacra, morale è prendersi cura della vita.

Bergamo Liceo Mascheroni, 19 dicembre 2023

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