Poiché per quello degli angeli servono competenze fuori dall’ordinario, ci si limita a quello dei fiumi. Inoltre, per non essere fraintesi, il tutto non mira a favorire le quote rosa dei fiumi oppure a contrastare il presunto principio androcentrico della lingua italiana. Molto più modestamente si propone un maggior rispetto per il sesso che tanto e tanto tempo fa i nostri progenitori hanno attribuito ai due fiumicelli che avvolgono i colli di Bergamo, ed agli altri. Sul notissimo quotidiano locale (Eco di Bergamo, ndr.) è un florilegio continuo e costante: il Morla di qui, il torrente Quisa di là, il Quisa di su, il torrente Morla di giù. Nell’ultimo libro regalato agli abbonati, a proposito di percorsi ciclabili, sta scritto la Morla a pagina 29 e il Quisa alla pagina 35. Il fenomeno non si limita alla carta stampata, ma si estende purtroppo a giornalisti e intrattenitori televisivi, insegnanti (!), ecc. In internet la resa al maschile è corposa e vi si trova anche un agriturismo nei pressi di Macerata che si chiama proprio La Morla. Anche per il fiumicello che scorre a Cene dal curioso nome “Doppia” i redattori del suddetto quotidiano hanno pronta la consueta ricetta: “… lavori in corso lungo il torrente Doppia”… e quindi poco dopo: “Ruspe al lavoro lungo il Doppia”. Per fortuna fanno bella mostra di sè: “Via della Morla” alla fine della via Ruggeri da Stabello, Comune di Bergamo, e “Via della Quisa” nei pressi del Grès, Comune di Ponteranica.
Qualcuno arriva a giustificare la mutazione sentenziando che in italiano i fiumi sono maschili!? Peccato che il glorioso vocabolario della lingua italiana Palazzi reciti: “I nomi dei fiumi sono tutti maschili, fanno eccezione quelli terminanti in a”. E infatti alcuni continuano a chiamarsi Senna, Vistola, Drava, Dora, Livenza, Tresa, Mera, Lura, Molgora, Brenta, Enna, Imagna, Serina, Sonna, Lesina, Bregogna, Borgogna, Nesa, Pedoca, Porcarizza, Rigla, Tremana, Rienza, ecc. Quando il nome è preceduto dal sostantivo “fiume” è ovviamente corretto utilizzare l’articolo maschile: il fiume Senna. Ma se non c’è il sostantivo, perché non scrivere come si è sempre detto e scritto, per omnia sæcula sæculorum: la Morla e la Quisa? Oltre all’errore del genere c’è anche l’abuso del termine torrente considerato impropriamente sinonimo di “piccolo fiume”. In realtà, secondo i geografi, né la Morla né la Quisa sono torrenti perché non hanno alcuna delle caratteristiche attribuite ai torrenti. E quindi sono dei piccoli o piccolissimi fiumi. Non hanno un carattere torrentizio perché l’acqua vi scorre sempre e con quantità di norma moderate. Inoltre la loro pendenza è di gran lunga inferiore a quella media di riferimento del 12,5% per essere considerati torrenti, come conferma il famoso geografo Giuseppe Nangeroni. In ogni caso, sempre dal vocabolario: “– lat. tòrrens, da torrère, disseccare – breve corso d’acqua ora gonfio d’acque ora quasi asciutto”.
Mosè del Brolo scrive a proposito della Morgula come si chiamava nel medioevo:
“ … prossimo al monte cittadin trascorre, un fiume a cui di Morla han dato il nome e crudelmente la campagna inonda”. E della Quisa: “A piè del colle va serpendo un rio che Quisa ha nome, nè tu mai vedesti più limpida di questa onda e più pura…“. Nel 1596 Zuanne da Lezze scrive: … “al loco del Petosino del Comun di Potranica vi è un’acqua detta Quisa, ivi nascente, con molini et folli, sbocca nella Val Breno drio li monti, ne mai è sutta …”. Il nostro grande Rocco Zambelli, come è noto, appurò sperimentalmente nel 1966, con un colorante, che la Quisa è una risorgiva della Morla che in extremis, sotto la zona del cimitero di Sorisole e la Madonna dei Campi, abbandona il bacino seriano per riemergere alla Petós, scorrere ai piedi delle colline, attraversare Paladina, Valbrembo e Mozzo, prima di sfociare nel Brembo a sud di Ponte San Pietro. Luigi Meneghello ha scritto sul Sole 24 Ore di una domenica del 2007, poco prima di lasciarci, che “il” Sarca era chiamato da tutti al femminile almeno fino a quaranta anni fa: la Sarca. Perfino il Piave fino al 1917 era chiamato: la Piave! Ma non si tratta solo di una faccenda grammaticale. Alla luce del fatto che in Giappone il sole è considerato “femmina” e la luna “maschio”, alcuni antropologi ipotizzano che una importante invasione dell’arcipelago sia avvenuta in un periodo in cui vigeva il matriarcato… (Anche nella lingua tedesca il sole è femminile e la luna maschile … e qui ci vorrebbe una consulenza della straordinaria Marija Gimbutas).
Come mi indicò Ermanno Beltramelli, un bergamo-cremasco amico delle lingue locali: Dante nel XXXII canto dell’inferno riferendosi a Buoso da Duera scrive appunto: “… quel da Duera là dove i peccatori stanno freschi” rispettando il toponimo senza “italianizzare” il nome del grazioso paesetto cremasco in “Dovera” com’è stato fatto, si presume, nell’800. Quindi, perché alimentare questa moda se, come riteneva anche Vittorio Mora, i toponimi conservano, talvolta più delle pietre, le stratificazioni linguistiche e storiche dei territori. E il genere di un toponimo non è un particolare di poco conto. E’ forse decisivo per capire questo ipercorrettivismo “provinciale” la risposta gentile del direttore della rivista Orobie Pino Capellini: “Molti cronisti furono oggetto in passato di severe reprimende quando scrivevano “la Morla”, in quanto veniva sostenuto che scrivere “la Morla” era solo un vezzo locale, popolare e dialettale, mentre invece la versione corretta – ci veniva detto – era “il Morla” (sottintendendo, evidentemente, il torrente Morla)”. Quindi non c’entra il fatto che sotto la linea Massa-Senigallia la gran parte dei fiumi è maschile né c’entra il principio antropocentrico: si tratta banalmente della smania di voler essere più realisti del re e più italianisti di Dante. Ma se, nel recentissimo passato, alcuni maître à penser (…) si sono vergognati della loro lingua materna, dobbiamo continuare pure noi? Non sarebbe più semplice e opportuno rispettare i nomi con gli articoli che abbiamo avuto in dono, come faceva tra gli altri, anche Lelio Pagani?