La paura del padre di Siddharta Gautama che il figlio decidesse di non succedergli al trono si fece, man mano che il bambino cresceva, sempre più concreta. Al giovane non interessavano la guerra o gli affari di stato, preferiva dedicarsi alla contemplazione. La profezia del saggio stava per avverarsi.
A sedici anni Siddharta Gautama sposò la cugina, la principessa Yasodharā “portatrice di gloria”, i due avranno il primo figlio solo tredici anni dopo e lo chiameranno Rāhula (il nome deriverebbe dalla prima parola pronunciata dal padre alla sua nascita: Rahu, ossia, ostacolo).
La sua insaziabile curiosità e il desiderio di conoscere il mondo reale spinsero il figlio del re, all’età di ventinove anni, ad abbandonare la vita agiata del palazzo reale paterno. Vedendo il mondo al di fuori dei muri del palazzo, poté osservare per la prima volta la sofferenza, la vecchiaia, la malattia e la morte. Così comprese improvvisamente che la sofferenza accomuna tutta l’umanità, e che le ricchezze, la cultura, l’eroismo, e tutto ciò che gli era stato insegnato a corte erano false virtù e valori effimeri. Capì che era cresciuto in una prigione dorata e cominciò interiormente a rifiutarne agi e ricchezze. Fu probabilmente quel giorno che prese la decisione di dedicarsi all’ascetismo e alla ricerca della verità sulla vita.
Quanto al modo in cui abbandonò il palazzo non ci sono versioni concordanti. Secondo alcune biografie, mentre tutti dormivano, riuscì a fuggire a cavallo, secondo altri, invece, prima di andarsene comunicò ai genitori la sua decisione, si rasò il capo e il volto, si liberò dei vestiti da principe e nonostante le suppliche del re e della regina se ne andò. La tortuosa via verso l’introspezione era presa.
Spinto dal bisogno di cercare la verità Siddharta Gautama compì una serie di viaggi per conoscere i più grandi maestri ascetici della sua epoca. Il primo maestro al quale si rivolse fu un certo Āḷāra Kālāma, un asceta conosciuto e stimato che soggiornava nella regione del Kosala, un regno indiano di origine ariana. Il maestro, dopo avergli insegnato l’arte della meditazione e la via per l’ascesi, gli attribuì il massimo grado per lui raggiungibile nella via verso la liberazione: “la sfera di nullità”.
Siddharta Gautama però non si sentì per nulla appagato del risultato raggiunto e decise di spostarsi nella regione di Magadha per incontrare un altro grande maestro: Uddaka Rāmaputta. Ma anche questi, dopo avergli insegnato tutto ciò che conosceva, non seppe sfamare il desiderio di illuminazione dell’allievo. Così Siddharta Gautama si spostò ancora, questa volta nel piccolo villaggio di Uruvelā, dove restò per alcuni anni, quelli precedenti all’illuminazione. Qui formò cinque discepoli di cui divenne maestro spirituale. A loro impose pratiche ascetiche, dietetiche e meditative particolarmente austere. Questo metodo però non convinse Siddharta Gautama che si decise presto a tornare a una dieta normale. L’attività contemplativa richiede infatti energia ed un corpo in buona salute, non debole e sofferente. Ciò non fu compreso dai suoi discepoli che interpretando quel gesto come un momento di debolezza decisero di abbandonarlo.