L’esperienza non chiude il nostro orizzonte di vita e di pensiero. Siamo sempre interpellati dagli stessi problemi fondamentali. La filosofia nella sua storia sembra tornare allo stesso punto, dopo millenni con le stesse domande. Come la scienza: la fisica contemporanea parla di particelle elementari come i presocratici parlavano degli elementi fondamentali che si mescolano tra loro a formare il mondo.
Il sapere acquisendo contenuti nuovi, allarga la frontiera delle domande: un pallone si gonfia non semplicemente in proporzione al raggio, ma secondo il quadrato del raggio stesso. Risolvendo un problema se ne presentano tanti altri. Le stesse cose si complicano in contesti nuovi.
Per spiegare ciò che vediamo introduciamo qualcosa che non vediamo. Bisogna sondare l’invisibile per intendere il mistero di quanto ci circonda. Il detective sulla scena del delitto ragiona tenendo conto di ciò che non vede: dalla mancanza di segni di violenza o dalla finestra chiusa deduce che l’aggressore è stato introdotto dalla vittima.
La filosofia moltiplica i suoi perché. Va oltre l’esperienza e trova la legge morale che nei momenti decisivi ti dice ciò che non devi fare. Avvertiamo i limiti della libertà. I moderni più degli antichi hanno dato valore alla libertà e alla volontà. Nei Fratelli Karamazov, a Gesù tornato sulla terra e che di nuovo suscita attese di salvezza il Grande Inquisitore rimprovera di aver concesso il dono della libertà agli uomini che sono incapaci di responsabilità. Su che cosa altrimenti si fonda la vita morale? “se Dio non esiste allora tutto è lecito”.
Si dice che la scienza procede sperimentando, un passo per volta, e mette i punti fermi. Si dimentica però che non c’è sperimentazione senza teoria. In matematica i teoremi si declinano partendo da assiomi. L’evidenza non è ciò che si presenta immediatamente ma piuttosto alla fine di un percorso. La problematicità del postulato delle parallele è emersa col tempo. Si sbandiera la fisica galileiana che procede per osservazioni e misure, lontano dalle elucubrazioni degli scienziati aristotelici. Eppure i fisici del Cern hanno da poco osservato e fotografato la particella collante della materia che da anni descrivevano con precise caratteristiche. Senza una teoria non l’avrebbero trovata. L’invisibile guida alla scoperta del visibile.
La metafisica scavalca l’orizzonte dell’esperienza. Kant la negava ma poi era costretto ad ammetterla come fondamento del comportamento morale dell’uomo.
La conoscenza si delinea a gradi. Si parla di ignoranza, opinione, dubbio, congettura, fede, certezza. L’uomo non si accontenta del sapere, vuole vivere una vita che abbia un senso. Lo scienziato può dedicare una vita seguendo una pista che risulta senza sbocco; gli basta aver investigato con scrupolo. Non si può sbagliare sul senso della vita perché si perde se stessi: “a che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde l’anima?”
L’uomo è guidato dalla ragione. Pascal ci ricorda che il punto più alto della ragione è riconoscere che esistono infinite cose che la superano. L’esistenza del male è una di queste. Giobbe si ribella: “fammi sapere, o Dio, perché sei in contesa con me! mi hai dato tutto ora mi togli tutto?”. E Dio risponde: “Cosa pretendi di sapere? dov’eri tu quando io creavo il mondo?” C’è una ragione invisibile, una presenza che non si vede ma si crede. La scienza propone progetti, basta poco per mandarli a gambe all’aria. Abbiamo bisogno della speranza che è la bussola che ci orienta.
Sintesi di Mauro Malighetti della lezione di Evandro Agazzi all’auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo (29 marzo 2022) nell’ambito della programmazione di Noesis