Nel Simposio si racconta che gli invitati ormai pronti a cenare si accorgono dell’assenza di Socrate, che pur era arrivato alla casa di Agatone. Se ne sta appartato, immobile, come gli è capitato altre volte. Finalmente arriva: “Rivelaci l’arcano che ti ha preso!”. Questo è già un’immagine del thauma, che prende e sovrasta, non tanto convince ma afferra.
Il thauma è lo sgomento di Abramo chiamato a sacrificare il figlio e poi fermato dalla mano dell’angelo. Sconvolge la logica e muove il riso di Sara davanti alla promessa di Dio che le annuncia la nascita di un figlio: “Un figlio, alla mia età?”. E’ il turbamento della giovane Maria di Pasolini (Vangelo secondo Matteo) all’annuncio dell’Angelo. Forse spavento, come racconta l’evangelista Matteo delle “donne che scoprirono la tomba vuota di Gesù e fuggirono e non dissero niente perché avevano paura” (Mc 16,8). E’ angoscia che invade la casa di Admeto al passaggio della morte: lui può sfuggirle a patto che qualcun altro si sacrifichi. Solo la moglie Alcesti sarà disposta.
Il thauma è anche stupore. Davanti al ciliegio in fiore il giapponese dice “awaré”, come il nostro “0h!” di meraviglia ma con una venatura di malinconia perché lo spettacolo della fioritura dura tre giorni: a thing of beauty is a joy for ever “una cosa bella è gioia per sempre” dice Keats, l’eterno è in un istante.
Come strutturare il thauma? Come subirlo? Come incontrarlo? Come superare l’aporia che racchiude? La poesia è più attrezzata, a volte il discorso filosofico rischia di inaridire, nega il desiderio e produce pestilenza (loimòs). Per coglierlo bisogna farlo risuonare in accordo come la corda della lira. La nostra cultura è troppo disposta alla produttività dello yang (lato maschile), invece bisogna dare spazio alla recettività dello yin (lato femminile).
Nella nostra vita vorticosa ed efficientista bisogna agevolare l’incontro che rallenta e ricupera. Proust ricupera il tempo perduto, le campane lo commuovono, il dolcetto inzuppato nel tè gli ricorda la zia che glielo portava da piccolo appena sveglio. Catherine nel romanzo Cime tempestose (E. Bronte) scrive all’amica: “Se tutti gli esseri perissero e lui (l’amato) restasse, anch’io continuerei ad esistere; se lui perisse, l’universo mi sembrerebbe estraneo. Il mio amore per Heathcliff assomiglia alle rocce sotto terra, alla sorgente che dà poca gioia visibile ma necessaria”.
Il thauma esige l’alterità, un’uscita da noi, un abbandonarsi per raccogliersi. La parola biblica è bhathah, fiducia. Due esempi lo possono commentare. Nel Faust (Goethe) Mefistofele ha venduto l’anima al diavolo in cambio del sapere, per la brama di conoscere. Quando il diavolo torna a chiedere il conto sarà la sua innamorata, Margarete, che intercedendo presso Dio lo salverà. L’amore giunge dove il sapere e la razionalità non possono.
Un’altra Margherita in Il maestro e Margherita (Bulgakov) sarà salvatrice. L’avvento del diavolo crea scompiglio nel mondo, l’amore lo rimette in sesto. Il desiderio da soddisfare che le è concesso sarà liberatorio: vorrà che sia tolta la pena alla ragazza condannata all’inferno perché colpevole di aver ucciso il proprio bimbo, pena che la costringeva a rivedere il fazzoletto del piccolo intriso di sangue.
Non si tratta di soddisfare l’io ma aprirsi all’altro, coltivare il desiderio accogliendo l’istanza di vita che non è mai predeterminata.
“Finché riprendi la palla che ha lanciato la tua mano non è che conquista facile; solo se all’improvviso devi prendere la palla che un’eterna tua compagna di gioco scagliò al centro del tuo corpo, solo allora è virtù il saper prendere, non tua ma di un mondo” (Rilke).
Sintesi di Mauro Malighetti della lezione di Umberto Curi all’auditorium del Liceo Mascheroni di Bergamo (8 marzo 2022) nell’ambito della programmazione di Noesis