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Dei Presocratici abbiamo frammenti difficili da interpretare, per esempio la frase di Anassimandro: “Gli enti devono pagare il fio per l’ingiustizia commessa”. Platone dedica al tema il dialogo La Repubblica. Qui Socrate chiede: “Che cos’è la giustizia?” Risponde Trasimaco: “E’ l’utile del forte”.

La polis è divisa in demiurgoi (artigiani) fùlares (guardiani) àrkontes (governanti) e la giustizia si realizza quando ogni gruppo svolge il suo compito. Per il singolo si parla di anima concupiscibile, irascibile, razionale, ognuna delle quali ha una virtù corrispondente: la temperanza per l’anima concupiscibile, il coraggio per l’irascibile, la saggezza per la razionale. La giustizia è armonia delle parti. Tale distinzione è rimasta nelle cristiane virtù cardinali. Per Aristotele giusto è chi obbedisce alle buone leggi e chi compie buone azioni. La virtù è sempre in mezzo tra il difetto e l’eccesso, come nella vita sociale c’è un equilibrio tra il rinunciatario e il prepotente. L’uguaglianza non è un fatto meccanico. Nella vita pubblica i beni sono distribuiti in base ai meriti: si parla di proporzione. In una gara si distribuiscono premi diversi secondo la classifica. Per i rapporti privati c’è la giustizia commutativa: chi subisce il danno va risarcito e chi presta un servizio ha diritto ad essere pagato.

Il tema giustizia è al centro dell’opera di J. Rawls e dei Communitarians (M. Walzer, A. MacIntyre). Parlano di reddito minimo e di libertà di scelta. A. Sen e M. Nussbaum invece vedono come giusto la distribuzione dei beni in base alle capacità e se non ci sono bisogna pensare a svilupparli: in una popolazione dove nessuno legge che scelte possono fare queste persone? La Arendt dice che Platone fu sconvolto dalla condanna di Socrate: il maestro non era riuscito a persuadere i suoi concittadini della sua innocenza. Cosa ricavare a proposito della società democratica? Se la parola, l’opera persuasiva, l’opinione non avevano contato, non avevano raggiunto i valori assoluti e la democrazia aveva fallito. Si può capire il divorzio di Platone dalla politica. La politica per lui non può basarsi sull’opinione, ma sulla vera concezione del bene e questo è accessibile solo al filosofo, a chi è ben educato.

Meritevole di attenzione è l’esperienza americana. Gli Stati uniti nacquero da un popolo di pellegrini e di perseguitati a causa di idee religiose; fuggirono dall’Europa e lì si trovarono. Non avevano alcuna forma di Stato già pronta, non avevano uno Stato organizzato e centralizzato, un Leviatano o uno Stato assoluto. Lo Stato nacque dal basso. Ci furono conseguenze anche negative, ad esempio la schiavitù. Ma la società americana seppe inventare una forma di Stato con una costituzione, un presidente eletto, un forte senso di libertà e grandi aspettative. Fino a parlare di felicità per tutti.
Oggi assistiamo ad una crisi della politica. La forma dello Stato è messa in discussione dalle autonomie locali; gli Stati dipendono da altri Stati e gli organismi internazionali sono un fatto acquisito.

A cura di Mauro Malighetti (La giustizia nella filosofia antica, Enrico Berti, Romanae disputationes 14/10/2015)

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