Biondi immobiliare

Nel romanzo “Termine di un viaggio di servizio” di Heinrich Böll (pubblicato nel 1966) il protagonista è la giovane recluta Gruhl in via di esonero deve fare un viaggio di servizio con la jeep dell’esercito tedesco. Lo fa in compagnia di papà Giovanni.

Lungo una via di campagna il loro incomprensibile gesto: i due stanno placidamente e con visibile soddisfazione seduti su una pietra terminale a fumare davanti all’incendio dell’auto da loro provocato. Così è appurato dalla polizia locale: hanno manomesso il serbatoio, perforato con arnese appuntito e inzuppato il veicolo di benzina, quindi provocato l’esplosione. Il fatto ha richiamato una folla di curiosi con conseguente ostruzione stradale. Perciò l’arresto. L’atto dei Gruhl ha suscitato un certo clamore anche sulla stampa locale. Il processo si svolge presso la pretura di Birglar. Dalle domande preliminari al padre si viene a conoscere il profilo del soggetto: la serietà professionale di mastro falegname, la regolare frequenza ai corsi serali in arti applicate, l’avvio dell’attività in proprio. L’individuo non ha particolare tendenza politica, ritenuta dallo stesso Gruhl “un’idiozia”. E’ stato semplice soldato per l’intera durata del conflitto senza mai partecipare a combattimenti, impiegato invece come falegname e mobiliere nei circoli ufficiali ad arredare alloggi, restaurare mobili in stile, “rubati” secondo lui sotto la Francia occupata. Conflitti personali con la legge, chiede il giudice? Sì, è la risposta, per via delle tasse non sempre versate. Il nome del figlio è Giorgio, più corpulento del padre, nel viso, a detta di molti, tutto la madre, gioviale come lei figlia del macellaio, ormai defunta. Giorgio ha lavorato con il padre fino al sopraggiungere della leva con il grado di caporale. Dell’accusa i due non hanno niente da dire. Pentiti? Nient’affatto.

Heinrich Böll ci introduce nella storia attraverso un corollario di personaggi, intreccio di relazioni, vizi e virtù di una comunità dove tutti si conoscono, ricevono e restituiscono confidenze, condividono pregiudizi. Piccole umane quotidiane cose. E’ ascoltato il tenente Heimüller che si dichiara “soldato col grado di tenente”, come precisa con voce energica “in un timbro di bandiera schioccante”, e aggiunge “di confessione cattolico-romana”. Che nell’esercito ci fosse sciupio insensato di tempo, materiale, energie e di pazienza, era notorio come ribadito da Gruhl figlio. Di quei giri di servizio aveva fatto quattro in un anno, 20mila chilometri a spasso: il che voleva dire tremila litri di benzina e una relativa quantità d’olio. Nell’affollata sala dei testimoni ci sono anche il vecchio parroco ormai a riposo e due sue parrocchiane. Si parla del cane che nella notte l’avevano sentito abbaiare. “Deve essere stato il collie del carrozziere Leuffon”, sostiene il prete a bassa voce, “una bestia molto intelligente e sensibile”. Abbaiava anche quando, sempre di notte, lui apriva la finestra della canonica per far uscire il fumo del tabacco, facendo senza saperlo arrossire una delle due, la giovane Wermelrschirchen all’idea del parroco in agguato, con la sua toga nera come un gatto nero. “O forse si portava addosso un senso di colpa dato che non sempre lei godeva nel villaggio simpatie di buona reputazione?”.

Sono ascoltati altri testimoni, l’impiegato delle finanze, il maresciallo, il presidente della associazione falegnami, il responsabile del traffico locale. Tra il pubblico la signorina Agnese Hall, spettatrice d’obbligo nei casi assegnati al giudice Stolfuss, tanto da essere chiamata “il mobile della pretura”. I due erano cugini per via di madre. Lo saluta anche stavolta con Alois, sottovoce, un modo di salutare, commenta Böll, “che non può capire chi non concepisce l’esistenza di creature platoniche”. D’altronde la stessa moglie del giudice è giudicata dalla gente “sempre scombinata con il tempo”, chiamata anche “Maria della Pace” per il suo non aver mai voluto sentir parlare di pena di morte, “come si era fatto giurare dal marito nel momento del fidanzamento”. I testi rivelano la scena e il retroscena. Il delegato del traffico si dilunga a parlare del cattivo modo di usare le strade, la cattiva usanza di prendere le strade secondarie da parte degli automobilisti per fare prima, con grave usura del manto stradale e danno alle casse comunali. Il parroco mette in buona luce il vecchio Gruhl “sempre pronto a fare dei bei giocattoli per quei bimbi che mai avrebbero potuto sperare in doni natalizi di quel genere”. Il processo si allungherà fino alla notte. Il magistrato è meticoloso, tutti ci tengono a mettersi in mostra, a dire la loro per spiegare lo strano, profanatorio comportamento dei Gruhl che bruciano una macchina dell’esercito.

Lettura povera, senza orpelli si direbbe quella dello scrittore di Colonia, autore satirico, a volte grottesco, ma sempre umano. Era cresciuto negli anni di guerra – sei anni su diversi fronti, e alcuni sofferti negli ospedali e nei campi di prigionia – e poi il dopoguerra, tra le macerie culturali e fisiche, la polvere costante, il sentimento di castigo per essere tedesco. Aveva imparato dagli scrittori americani, una scrittura scarna, senza retorica, aderente ai fatti, che a momenti si fa ironia pietosa, umorismo, dal cuore pulsante per i fratelli poveri. La Chiesa è presente, ma quella che ama non è quella istituzionale e gerarchica, è invece quella povera, del Cristo umiliato nei suoi compagni di viaggio. Tutto il processo è raccontato, fino all’ultima testimonianza che dà adito alla soluzione imprevista. Il critico d’arte interpellato parla di un happening artistico. Forse un’opera d’arte è quella che i due si proponevano? Un’opera d’arte povera, l’evento che mostra e di cui nulla rimane, fuori dai mercati e le compravendite delle opere d’arte.

Si conclude con un’assoluzione allora? Proprio no. Una condanna c’è ma lieve e il relativo ammonimento. Qui si conclude la carriera del giudice Stolfuss: “è arrivata la pensione finalmente!” gli aveva detto la moglie a pranzo. Ma il suo pensiero va “a quanto disarmata si trovi a volte l’umana giustizia”. Heinrich Böll è un maestro nell’intrecciare le vicende, nell’accompagnare i personaggi attraverso il processo. Il racconto è godibile e leggero, non drammatico e intenso come “E non disse nemmeno una parola“. Lontana la Germania tragica del primo dopoguerra, qui siamo nella piena società dei consumi. Lo scrittore è un militante di sinistra, critico verso la pesante repressione del terrorismo delle frange armate che insanguinarono il paese degli anni ‘70. Qui critica la politica semplicemente perché astratta, lontana dalle istanze del semplice cittadino e lo dice in modo leggero, ironico, indulgente. Anche questo romanzo ha contribuito a conferirgli il Premio Nobel, qualche anno dopo, nel 1972.

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