Edipo segno di contraddizione. L’Edipo a Colono di Sofocle. Lezione di Mauro Messi
Nel 406 a.C. Sofocle presentò la tragedia Edipo a Colono. Sarebbe morto l’anno successivo. L’anno si stava concludendo in modo disastroso per Atene, perdente nel confronto con Sparta nella Guerra del Peloponneso. La città era inoltre divisa internamente in seguito al processo contro gli strateghi, pur vincenti nella Battaglia della Arginuse: l’accusa era di non aver soccorso i naufraghi morti nella tempesta che aveva decimato la flotta.
La saga di Edipo si conclude con Edipo che giunge vecchio, cieco (tuflòs) e stanco nel demo di Atene chiamato Colono: “La sofferenza e il tempo, a lungo mio compagno, insegnano rassegnazione”. Arriva, accompagnato dalla figlia Antigone, in un luogo sacro alle Erinni, divinità dei morti, come viene a sapere da un abitante il quale lo interroga: “Chi sei? Con chi ho a che fare?” Edipo risponde che è meglio non sapere, “non cercare qualcosa di solido: la mia origine è orrenda (ainà fùsis), so di non aver scampo”.
Sopraggiungono i vecchi sapienti di Colono che saputa la sua identità lo vorrebbero cacciare. Troppe le colpe di lui che ha ucciso il padre e sposato la madre. La terra (tòpos kzonòs) che calpesta è votata a Poseidone, dio del mare e degli abissi, e la frontiera non va attraversata da uno come lui. Antigone invoca pietà. Edipo chiede ospitalità, un posto per morire. Rispondono che non spetta a loro decidere e chiamano in causa il signore di Atene, Teseo.
Nel frattempo giunge l’altra figlia, Ismene, ed è l’occasione per ripercorrere i fatti tremendi successi al padre, i fratelli che gareggiarono per il trono, la rovina che travolse la stirpe (ghènos), lui Edipo bandito e disprezzato, “sarebbe stato meglio morire sotto un cumulo di sassi”.
Tra Edipo e Teseo si svolge un dialogo serrato. Teseo non è prevenuto; anche lui ha conosciuto l’esilio (xènos) e vuole capire. Lo interroga: “In passato da molti ho sentito del sangue e della morte che hai negli occhi, Edipo infelice (àzlios)”. “Agii senza capire. Ho avuto a che fare con dolori che non si dimenticano”. Lo ritengono colpevole. “L’ho fatto senza sapere, per insensato destino. Non potresti trovare un qualsiasi mortale capace di sfuggire se un dio (dàimon) lo incalza, sia costui uomo empio o pio”. “Inutile arrabbiarsi nelle disgrazie e l’ira non giova” gli fa presente Teseo. “Non sopporto prediche – controbatte Edipo – ho sofferto cose incredibili”. Il suo corpo (sòma) lo dimostra nello squallido sudiciume, coperto di cenci, i capelli scarmigliati, le orbite vuote degli occhi. Sembra non valere nulla a vederlo, ma i vantaggi che dà valgono più di un bell’aspetto: “proprio il mio corpo sarà un dono (ghèras) per Atene, una difesa della città”.
Le parole di Edipo convincono il sovrano: “Sei degno della nostra compassione, tu e le tue figlie. Chi potrebbe respingere il favore a uno così? la nostra casa sia la tua casa, aperta e accogliente (koinè)” “nella bianca luce (lampàs) di Colono, terra degli ulivi, con l’edera che rosseggia e dove, sotto il cielo di rugiada, fiorisce il narciso e il croco manda lampi d’oro”.
La frontiera per lui cade, il dio lo accoglie: “Su Edipo! da troppo tempo ti fai aspettare”. E Edipo si congeda con un augurio agli ateniesi: “Abbiate gioia; nella buona sorte, nel vostro splendido destino rimanga in voi il ricordo di me”.
S’inoltra nella selva che tutto nasconde e accoglie e sparisce come inghiottito. Il Coro commenta: “Non fu un lampo divino a prenderlo, o dal mare una tempesta scoppiata allora, forse fu una guida mandata dagli dei, o si spalancò l’abisso benevolmente dal fondo della terra. Se ne andò senza gemiti e senza dolori di malattia (nòsos), degno di meraviglia se mai è concesso ad un mortale”.
Sofocle dedicò l’ultima tragedia al luogo in cui nacque. E’ una storia per la sua città (polis), un omaggio di riflessione: l’uomo può sollevarsi accettando la propria condizione e riconoscendo i propri limiti. E’ un bilancio di vita, di uomo e scrittore, ai confini dell’anima e un invito a rialzarsi, sulle frontiere che separano gli uomini ma che permettono anche di riunirsi.
Bergamo Liceo Mascheroni, 21 novembre 2023