Il terzo scudetto al Napoli parte da lontano. Da una dirigenza che ha deciso di dare un taglio netto ai senatori con onerosi stipendi e ai molteplici squilibri da spogliatoio che di certo non giovano all’armonia mentale dell’undici che scende in campo ogni tre giorni.
L’estate scorsa sono partiti Insigne, Ruiz, Manōlas, Koulibaly, che mediamente guadagnavano il doppio di Kvaratskhelia. Anguissa, Rahimi e Kim Min-jae. Lo scudetto è arrivato con ex giocatori di Dinamo Batumi, Fulham, Dinamo Zagabria e Fenerbahçe, non certo l’elite del calcio europeo. Questo fa capire come anche nel business del calcio non serva a tutti i costi coprire d’oro singoli calciatori (che spesso sono sopravvalutati, basta vedere i palmares) e alla fine mettono in condizione di imbarazzo sia i compagni che l’allenatore.
È il trionfo del modello De Laurentiis. Conti in ordine e gestione dei players come dipendenti di una multinazionale. Un buon portiere, due buoni stopper, linea mediana muscolare e tecnica e un centravanti che fa gol. Nessun falso nueve, nessuna partenza dal basso. Tecnica, fisicità, ordine e disciplina.
“Oggi è il coronamento di una attesa lunga 33 anni – ha spiegato il presidente -, lo avevo detto quando sono arrivato che sarebbero serviti 20 anni per lo scudetto…ci siamo arrivati con due stagioni di anticipo. Adesso ci manca di rivincerlo e ci manca la Champions. In estate serviva aria nuova e sono stati bravi tutti i miei dirigenti che hanno operato questa rivoluzione. Questo è un punto di partenza e non di arrivo, Troisi dopo ricomincio da tre ha fatto altri capolavori”.
Pochi o nessuno spiffero di scontenti che danno voce ai procuratori a differenza degli anni passati.
Così si vince in campo, come nel lavoro di tutti i giorni e nella vita. Coloro, invece, che pensavano di vincere la Champions ricoprendo d’oro un singolo giocatore li vediamo dispersi nelle aule di tribunale.