Meraviglioso e angosciante è il mondo. Per orientarsi bisogna capirlo, altrimenti si è spaesati. Eraclito, Platone, Agostino sono i luoghi dell’Occidente che aiutano a capirlo.
Per Eraclito bisogna ascoltare la conflittualità che è la ragione del mondo. Polemos (guerra) è il padre delle cose. L’esperienza originaria è conflittuale. “Il conflitto è comune, la giustizia è la contesa e tutto accade per necessità”.
Non esserne consapevoli è thauma, si resta “stupidi”, stupiti, senza parola come l’infante, e ciò spinge alla ricerca della ragione. Rendersi conto non è eliminare il conflitto ma delinearne i confini. Le utopie lo vogliono cancellare, invece bisogna abitarlo. Bisogna ascoltare, ascoltare la natura: questo è il sapere per eccellenza che “l’oracolo di Delfi non dice né nasconde ma indica (semainein)”.
Le cose confliggendo si accomunano. “Non dando ascolto a me ma alla ragione è saggio ammettere che tutto è uno”. Tale comunanza dei contrari Eraclito chiama bella armonia. Nella dinamicità degli opposti c’è ordine.
La nostra azione deve essere volta a creare ordine, generare un kosmos. Il conflitto è ineliminabile ma bisogna far sì che si costituisca un mondo abitabile: habitus da cui habere, possedere, possedere uno spazio secondo un ordine, un senso, un fine. La polis va abitata pur nei molti valori confliggenti.
Siamo a Platone e alla sua Politeia (La repubblica). Il problema è trovare ciò che accomuna il logos dalla radice leg raccogliere. I “molti” si muovono confliggendo e bisogna creare le condizioni della possibilità dell’unità. L’idea è la città giusta (kallipolis). L’ordine senza conflitti è vuoto, ma i conflitti vanno controllati (C. Schmitt), armonizzati. Polis (città) richiama polùs, i molti. Attenti però all’imporre una volontà sulle altre, l’ideologia.
Come pensare questa città? E’ analoga all’anima, con una parte razionale governata dal discernimento (phronesis), una parte desiderante governata dalla temperanza (sophrosyne) e una irascibile la cui virtù è il coraggio (andreia). Le virtù creano armonia, le passioni vanno governate dalle virtù che creano armonia, dalla stessa radice arma, arte.
Per Platone il sapere deve governare secondo l’intento comune che è il bene. Così si può avere la città perfetta. Diversamente degenera, dall’aristocrazia alla democrazia alla tirannide. Il tiranno è colui che è schiavo delle passioni.
Agostino vede la storia come storia della Provvidenza. E’ la visione cristiana della storia della salvezza: la storia procede verso l’eskaton, che ha il momento conclusivo in Dio. I credenti sono in cammino verso la Gerusalemme celeste. Nel tempo intermedio però c’è la conflittualità tra la città dell’uomo e la città di Dio. Alla fine del tempo il conflitto cesserà. Nel divenire storico “il conflitto è tra chi ama Dio fino al disprezzo di sé e chi ama sé fino al disprezzo di Dio”.
Dio si dona all’uomo e l’uomo è chiamato ad accogliere la sua Parola imitando il Cristo. La pace è un dono della fine del tempo. Nel frattempo viviamo in attesa agendo come testimoni della Parola. La virtù della Città di Dio è la carità secondo l’esempio del Cristo. La Città dell’uomo è dominata dalla libido dominandi, la sopraffazione, l’ambizione, la concupiscenza, vi regna l’interesse.
Le due strade si intrecciano nella storia. Il credente pellegrino abita la città terrena anelando alla città celeste. Non può estraniarsi e deve lottare con le potenze mondane. A lui il compito di evangelizzare. La Città di Dio non è la Chiesa perché il peccato non la risparmia ed è bisognosa di perdono e il diavolo vi s’introduce. Nella storia la pace è preclusa. Intanto è tempo di testimonianza, nel conflitto ma sospirando per la Città del cielo.
Sintesi di Mauro Malighetti della lezione del filosofo Edoardo Dallari al Liceo Mascheroni di Bergamo (21 dicembre 2021) nell’ambito della programmazione di Noesis