Di solito viviamo il legame in relazione frontale, dialogo o contrapposizione. Il confronto spesso finisce nello scontro, non sopportiamo le disimmetrie. La cultura dello schieramento obbliga al si e al no, o dentro o fuori, vincenti o perdenti, giusto o sbagliato, lupi o agnelli. La complessità è scavalcata. La donna che partorisce presenta una relazione diversa, in una logica diversa. L’essere umano è unico, richiede comprensione e sensibilità. La complessità ragiona per spazi aperti, dove si nega qualcosa e altro si dice.
Come avere un pensiero che aiuti a leggere il mondo e la vita tra conflitti e differenze? Lo spirito di periferia aiuta. Si pensa che non accada nulla, tutto sta al centro. Invece ai margini accade qualcosa che ha a che fare con la verità. Non ci sono certezze o sicurezze ma ci si incontra, ci si sente fragili e perciò bisognosi di aiuto, si è nel provvisorio e anche in pluralità. Nelle relazioni asimmetriche, negli spazi del provvisorio, nella verità dai molti sogni impariamo a vivere. Non siamo isole. Siamo una tessitura, una rete di vite e di culture che si relazionano. Il sapere e la conoscenza non sta in scompartimenti stagni. Il mondo si è fatto piccolo, gli spazi si sono ristretti, ma le relazioni si sono moltiplicate.
Oggi si respira aria di catastrofe, il futuro preoccupa, il pianeta è sotto minaccia. Domande angoscianti: come possono vivere i nostri bimbi nel mondo dei cellulari e dell’Intelligenza Artificiale? E’ vero, il mondo è complesso, domande che impongono riflessioni. La paura della fine s’incrocia con il mistero dell’inizio. “Io sono l’Alfa e l’Omega” dice Gesù nell’Apocalisse. Con la questione della fine si torna a ripensare l’inizio. Ritorna il materno. Il bimbo che nasce è una speranza. Attorno alla maternità ci può essere però retorica. La si è fatta in passato coi discorsi della madre oblativa, madre insostituibile, madre Chiesa. C’è una terminologia: maternità surrogata, maternità assistita, fino a madrepatria.
Bisogna imparare la relazione, vedere in termini di alleanza, di cura, di solidarietà, di giustizia. Imparare ossia configurare, tradurre l’immaginario in gesti etici, politici, religiosi. Essere persone generative, non solitarie o dominanti, esseri unici ma nella vicinanza. Peter Sloterdijk (Sfere, trilogia) immagina delle sfere, spazi di vita da condividere in cui siamo esposti o ci esponiamo. Sfera o bolla, o globo che accoglie, nutre e contiene già la comunicazione futura. Il feto non è soggetto e nemmeno oggetto. Nascere è abitare in uno spazio umanizzato. Nessuno sceglie di nascere, gli altri l’hanno fatto per noi. Non siamo spettatori della nostra nascita; quando le luci si sono accese ci siamo già mossi.
La cultura occidentale ha posto il soggetto e l’oggetto, il soggetto sovrano che agisce e condiziona. In realtà l’io di ognuno di noi è in debito. Per capire chi siamo dobbiamo rifarci ai legami, e i legami sono complicati. Una trama di storie ci attraversa e ci unisce. Io sono per qualcuno e con qualcuno. Abbiamo la possibilità di fare, di riconfigurare, di vivere in continuità con l’inizio, senza cadere nella logica del profeta che sa e prevede o del signore che domina e chiude. Abbiamo la possibilità di configurare il mondo troppe volte in preda alle violenze e alla guerra. Vivere in solidarietà e non a intermittenza.
Curiamo la lingua che abbiamo ricevuto. Nelle prove o negli sbagli qualcuno può consigliare o spiegare. Curiamo la lingua, che non è solo dire sì o no, secondo se si sta di qui o di là (Franca D’Agostino, La verità avvelenata). Prendere posizione ma guardando come e da chi è disegnato il campo di battaglia. I conflitti nascono anche dalle parole, parole che definiscono, catalogano, dettano, escludono. Come i dualismi filosofici, essere e non essere. Potenziamo nella lingua i termini della solidarietà. Nel Poè Festival, una gara annuale di poesia a Trento, due padri, uno palestinese e l’altro ebreo, si presentano: “Ciascuno di noi ha perso una figlia. Il mondo ci chiede di odiarci. Non fu facile ma ora andiamo in giro a parlare di pace, ripetendo: non portate il conflitto nelle vostre piazze e nelle vostre parole, ma parlate della solidarietà e della nostra amicizia”.
Una lingua che sia più pulita. Di giustizia riparatrice, come il caso del ragazzo che ha diffuso materiale compromettente, foto della ex, e che insieme a lei dovrà spiegare quel che è successo. Le parole sono iscritte nei corpi e agiscono in noi, a generare bene o male, fiducia o disperazione. Riproponiamo la cultura della rinascita. Che cambi il nostro modo di stare al mondo!
sintesi della relazione di Lucia Vantini
TRA UNO E DUE LA DIFFERENZA CHE NON SI PUO’ CONTARE
Bergamo Liceo Mascheroni, 10 dicembre 2024
all'interno del Programma Noesis 2024/2025