L’inutile vita degli asini: da Giordano Bruno a Nuccio Ordine. Lezione di Claudia Baracchi
C’è bisogno di saggezza per la città come per una nave. La nave, fa dire Platone a Socrate (Repubblica, VI 488ss), non ha bisogno di un armatore ignaro di navigazione né di equipaggio ribelle o folla di individui che fanno a gara per adulare allo scopo di ottenere favori o magari impadronirsi della nave e del suo carico. Né la città ha bisogno di demagoghi che con tecniche persuasive obnubilano le capacità di giudizio del pubblico per propri fini, ottenendo gli stessi effetti di una bevanda inebriante. Chi guida la nave deve tener conto di venti e astri e conoscere l’arte della navigazione. La città ha bisogno di veri filosofi non di acchiappanuvole o chiacchieroni.
La lezione si ripropone nelle parole di Nuccio Ordine (L’utilità dell’inutile 2013) che analizza la parola utile e il suo opposto inutile mal usati e che rivelano una mentalità dominante della nostra società quando si parla di utile produttività, capitale da moltiplicare, capacità lucrativa, prospettiva calcolante. Viviamo in un mondo dominato dall’interesse e dal guadagno e con la forza del capitale viene spesso meno l’umano.
Buona cosa è invece parlare dell’inutile come di ciò che non ha fini, di un profitto che non è legato ai risultati, di un tempo liberato dalla necessità (otium), di un operare per diletto. La sua è una critica costruttiva dell’utile e si domanda in che misura favorisce il bene comune. Che felicità ci può essere in un mondo devastato?
Perché l’asino? E’ una figura che ha una storia di significato ambivalente, da una parte animale umile, paziente, ed avvezzo alle durezze, dall’altra animale testardo, intrattabile, recalcitrante, ottuso. Di una certa sacralità presso molti popoli indoeuropei. In Apuleio incarna una storia di sofferenza e redenzione. Il protagonista trasformato in asino, le peripezie e i maltrattamenti fino alla forma ritrovata con una nuova consapevolezza di sé. Nel Vangelo è la cavalcatura di Gesù che entra trionfante in Gerusalemme. Di lui si servono Maria e Giuseppe nella fuga in Egitto, come ha ben rappresentato Adam Eisheimer (1609) sotto un cielo cupo, illuminato dalla Via Lattea – secondo la nuova scienza di Galileo –curvo come se portasse il peso del mondo.
Giordano Bruno richiama continuamente la figura dell’asino nelle sue opere. Ne sottolinea l’atteggiamento di umiltà e costanza – così dovrebbe fare il filosofo nella ricerca della verità – di perseveranza senza presunzione, che non fa differenza tra cardo e lattuga, che nella fatica è capace di contrastare la fortuna e di andare oltre.
C’è anche un’”asinità negativa”, di pigrizia mentale, di dottrina inculcata, di fanatismo, di tornaconto personale, di sopruso e diritto calpestato da parte dei potenti.
Nel Candelaio Bruno racconta un fatterello. Asino e leone erano di ritorno dal pellegrinaggio a Roma. In procinto di attraversare il fiume si accordarono per un aiuto reciproco, l’uno si sarebbe caricato dell’altro a turno. Fu la volta dell’asino e il leone salì sulla groppa. A metà del guado il leone “per tema di cascare, sempre più gli piantava l’unghie ne la pelle”. “Al che il miserello passò al meglio che poté senza far motto”. Quando poi “fu dovere che il leone portasse l’asino questi per non cascar ne l’acqua coi denti afferrò la cervice del leone e non bastando gli cacciò il suo strumento nel vacuo, sotto la coda”. “Oi, oi! Traditore” “Pazienza, fratello, non ho che questo d’attaccarmi”. Per dire scaltrezza ma anche capacità di sentire le opportunità, perché anche la fortuna può essere modificata. Va acchiappata e domata “come una donna tirandola per i capelli” (Machiavelli).
Nuccio Ordine fa altre considerazioni. Cita il Simposio di Platone quando Alcibiade parla di Socrate e lo accosta alla statuetta del Sileno: sgraziato all’esterno contiene il simulacro del dio. A prima vista i discorsi di Socrate sembrano sgangherati, suscitano riso e scherno, ma a ben guardare rivelano la vera sapienza.
Nuccio Ordine allarga il discorso alla società d’oggi. Tocca la scuola dove si infarciscono discorsi su debiti e crediti, si pratica una pedagogia mercantile, si parla di spendibilità del sapere, di risultati e meriti, di indicatori e performance, si quantifica valutando in base a obbiettivi e gap da colmare.
Aristotele vedeva una filosofia non servile né irregimentata o strumentale. La ricerca filosofica, come ogni ricerca, deve stare aperta, non finalizzata all’immediato. Deve essere critica, in grado di stare sulle proprie gambe, che interroga e fa progredire verso la verità. Altrimenti ne va della felicità.
“Bacia le ombre qualcuno, e solo ombra sarà la sua felicità” (Shakespeare)
Bergamo Liceo Mascheroni, 20 febbraio 2024