La morte dell’on. Ugo La Malfa avvenuta nel 1979 ha suscitato anche a Bergamo viva commozione. Il legame più significativo che univa la nostra città al Presidente del Partito Repubblicano si riferisce al periodo della Resistenza, quando La Malfa fu in varie occasioni a Bergamo, dove la sua famiglia aveva trovato rifugio per sfuggire alla cattura da parte dei fascisti sin dall’autunno del 1942 a San Vigilio. Luigi Pelandi scrive: “A destra la strada per lo Scaramoglio (Scaramai) abitava un tempo il signor Carlo Maini da Carpi e dopo di lui il signor Silvio Zanchi. Ivi durante la guerra 43-45 trovò rifugio con la famiglia l’onorevole Ugo La Malfa”. Era l’anno 1943, nel periodo immediatamente precedente allo storico 25 luglio. La signora Orsola Corrado La Malfa, con i figli Luisa e Giorgio, aveva prima trovato ospitalità nella zona di Santa Lucia, in casa del dott. Bruno Quarti grande amico di Ugo La Malfa ed esponente della lotta clandestina a Bergamo.
Quanto riportato dal nostro cronista non viene avvalorato da Sergio Telmon il quale, nel volume dedicato a La Malfa, edito dalla Longanesi scrive: “La Malfa si era sottratto all’arresto, nell’aprile del 1943, con una corsa contro il cronometro vinta per un soffio. Era rientrato a Milano un lunedì mattina. Era stato a Napoli, con Adilfo Tino, a visitare Benedetto Croce. Tino, in familiarità col filosofo napoletano fin dal 1917, aveva insistito per questo incontro col La Malfa, che non era il primo. I due azionisti erano al corrente dei tentativi della monarchia di agganciare il massimo filosofo italiano, e avevano pensato di sottrarlo a questo interessato abbraccio e di legarlo alla futura repubblica promettendogli la prima presidenza. Tino, e con minor convinzione, La Malfa, continuarono a sperare di saldare in una concentrazione democratica e repubblicana, imperniata sul Partito di Azione, la tradizione liberale tutta intiera da opporre alla nascente forza cattolica. Al suo arrivo a casa, una doppia casa, com’era ormai nell’invalsa tecnica di La Malfa, la portinaia riferì che il giorno innanzi alcuni amici, giunti in automobile, l’avevano invano cercato. Amici? Molto improbabile. La domenica era vietata, per economia di carburante, la circolazione delle autovetture private. Non salì neppure in casa. Corse alla Commerciale, afferrò una valigia, raccomandò ai fidati uscieri di indirizzare su false piste le eventuali ricerche degli amici e si riparò nel bergamasco dove era sfollata la famiglia”.
“Di quel periodo – diceva La Malfa – ricordo in modo particolare un giovane bergamasco, Bruno Quarti, che ci mostrò un coraggio particolare nella lotta clandestina”. “Subito dopo, (scrive ancora l’articolista Luigi Pelandi dell’Eco di Bergamo) la famiglia La Malfa trovò ospitalità a San Vigilio, grazie all’interessamento della famiglia Tulli Schubiger, che là risiedeva. La signora La Malfa e i bambini – ben ricorda Carlotta Tulli Schubiger – si fermarono a Bergamo per circa due mesi: si era tra il maggio e il giugno del 1943“. Carlotta Turri, nella sua testimonianza tralasciò il particolare che Ugo La Malfa in quel periodo rientrato a Milano il 24 maggio 1943 riparò immediatamente a Bergamo ma sapendo di essere braccato dalla polizia politica non si avvicinò alla sua, seconda, abitazione in San Vigilio la quale fu perquisita dalla polizia politica e dai carabinieri ma cercò e trovò rifugio presso l’amico e imprenditore bergamasco Remuzzi (forse Vittorio Remuzzi che abitava in Vittorio Ghislandi). Trascorse un mese a Bergamo chiuso nella villa ospitale dell’imprenditore Remuzzi e questo smentisce quanto sostiene Carlotta Turri, “… per alcuni giorni li ospitammo in casa nostra, poi trovammo loro una sistemazione in una casa vicina”.
Ugo La Malfa, dentro le mura di casa Remuzzi, “si fece crescere una foltissima barba, da lui stesso definita orrenda ma formidabile. Lo tolse dalla cattività l’invito a riparare in Svizzera. Da chi proveniva l’invito? La Malfa lo seppe, come vedremo, più tardi. Vennero a prelevarlo due antifascisti decisi, due futuri partigiani di indiscusso valore: uno di essi era Bruno Quarti. Andarono insieme a Como. Stavano seduti a un tavolo di trattoria allorché comparvero due ufficiali della milizia, che cominciarono subito a squadrare il terzetto. Quarti ebbe la sensazione che uno dei fascisti sussurrasse all’orecchio dell’altro: ‘E’ lui’. I tre si squagliarono alla chetichella, senza dare nell’occhio, e La Malfa si trovò nel centro della città alla stazione della funivia su cui doveva salire. La funivia era ferma per un guasto: ci volle un’ora per ripararlo. L’ora, ammette La Malfa, più angosciosa della sua vita. Camminò su e giù per la piazza, sotto gli occhi di due carabinieri e nel timore continuo che comparissero i due ufficiali della trattoria. Il ritardo, poi avrebbe potuto far saltare tutta la catena degli appuntamenti con gli organizzatori dell’espatrio clandestino. Finalmente la funivia partì e al capolinea d’arrivo La Malfa trovò una donnetta ad aspettarlo. Marciò fino a sera inoltrata. Passò la notte, alla meno peggio, in una trattoria già prossima al confine. Sveglia all’alba, per varcare la frontiera con un gruppetto di contrabbandieri. Sempre Carlotta Turri ricorda “che l’on. La Malfa andava e veniva, si fermava pochi giorni. In quel periodo ricordo di aver accudito ai due figli, Luisa e Giorgio”.
I rapporti del dott. Quarti con La Malfa e con altri tra i maggiori esponenti del movimento Giustizia e Libertà Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Riccardo Bauer, sono ricordati anche nel volume Intervista sul non Governo a cura di Roberto Ronchey. L’on. La Malfa, nel corso del suoi contatti con la nostra città, divenne amico, oltre che del dott. Bruno Quarti, di altri esponenti della lotta clandestina: tra essi Mario Invernicci, comandante delle formazioni Giustizia e Libertà, nell’ambito della Divisione Orobica. Da noi avvicinato nella sua casa di Milano, Mario Invernicci ha ricordato con commozione l’amicizia e la causa comune che lo legarono all’on. La Malfa. Ci ha tra l’altro preannunciato che le formazioni Giustizia e Libertà si faranno promotrici di una commemorazione dell’on. La Malfa, che si terrà quanto prima a Bergamo con la partecipazione di esponenti politici. Mario Invernicci ha inoltre ricordato che partendo da Bergamo, sempre in quel giugno del 1943, l’on. Ugo La Malfa fu aiutato ad espatriare in Svizzera. Di là, dopo il 25 luglio, si sarebbe recato a Roma per continuare la propria attività politica.
Durante il periodo di clandestinità a Bergamo Ugo La Malfa, come altri antifascisti, trovò aiuto anche in due sacerdoti bergamaschi: don Raimondo Panna, allora vicario della chiesa di S. Michele all’Arco a lato della Biblioteca Civica, e don Virgilio Teani, all’epoca curato di mons. Vistalli in S. Alessandro in Colonna, che a Romano aveva provato il manganello e l’olio di ricino delle squadracce fasciste. I due sacerdoti si adoperarono in particolare sia per trovare rifugio a quanti cercavano di sfuggire la polizia nazi-fascista, sia per assistere le famiglie bisognose di aiuto, tra le quali appunto quella di Ugo La Malfa. In proposito una testimonianza personale ci è stata comunicata dal dott. Giovanni Fumagalli. “Abitavo, come tuttora, con la famiglia in via Monte Bastia – ci ha detto – .Tanti anni sono ormai passati, ma del clima di guerra 1940-45 ancora in me permane il più penoso ricordo: le case e i tuguri anche più modesti erano invase da soldati. Ed a sera, dopo il mio lavoro al dispensario tubercolare, per le miserie della guerra sempre più affollato, ero diventato il medico di quegli infelici, che si avvicendavano per sfuggire ad incontri pericolosi o quanto meno compromettenti, con le autorità militari, specie se tedesche, negli ultimi tre anni. Vengo avvertito che in frazione Scaramai c’è una signora con un bambino ammalato: era la signora La Malfa. Il figlio era colpito, se ben mi ricordo, da una forma esantematica. Il marito viveva alla macchia e non ebbi mai occasione di vederlo. Mi colpì nella modestia dei poveri ambienti, nella squallida povertà del tenore di vita, la signorilità della moglie che si era adattata ad una vita che si poteva dire di stenti. Solo negli anni successivi seppi che era La Malfa. Oggi l’Italia piange per la scomparsa del suo maggior uomo politico. Io lo piango per la lezione che seppe darmi come maestro! Non è soltanto sui campi di battaglia che si plasmano gli eroi: e maggiori sono quelli che fedeli ad una nobile idea, per questa soffrono, combattono e da eroi vivono sacrifici anche estremi che per lo più restano ignoti“.