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Un, due, tre  è stato uno dei primi programmi trasmesso tramite tubi a raggi catodici negli anni ’50 del 900, ed era condotto da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello: il successo fu tale, che quell’aggeggio rettangolare scuro che cominciava a circolare nella case degli italiani, venne chiamato con le iniziali dei due mattatori, TV. I due continueranno ad essere mattatori per tutta la vita, quella di Tognazzi si chiuse il 27 ottobre 1990, trent’anni fa. Personalità versatile e poliedrica, amante della vita e dei suoi piaceri, per questo malinconico e incline al comico (malincomico, direbbe l’illustre Rambaldo Melandri dell’Accademia della Semola), Ugo Tognazzi ha fatto la storia della tv e del cinema italiano.

Partito da Cremona in marcia su Roma al grido di “O Roma o Orte”, conquistò la capitale e la nazione a suon di gag e film nel filone della commedia italiana, riuscendo nell’impresa di rendere godibili anche dei film scadenti. Per contro gli ortani gli tolsero il saluto ortano, ma se ne fece una ragione. Attore, chef e anfitrione, nella sua casa di Velletri ospitava e allietava i convitati con la sua verve e le sue verze, la grande abbuffata come must tutti attorno al tempio del grande frigorifero, considerato “la cappella di famiglia”. Insomma, vista da fuori, non proprio una vita agra, almeno non quanto quella del Bianciardi scrittore che interpretò sul set di Carlo Lizzani.

Tutti conoscono Ugo Tognazzi come attore brillante, ma pochi lo conoscono per essere stato il vero capo delle Brigate Rosse. Fu arrestato la sera del 3 maggio 1979, sorpreso nella sua casa di Velletri mentre si stava dedicando ad uno dei suoi passatempi preferiti, la cucina appunto. L’attore che non t’aspetti, col vizietto della doppia personalità, era scampato alla famosa retata del 7 aprile 1979, quella del famigerato teorema Calogero, che mise in galera un numeroso gruppo di intellettuali legati all’Autonomia operaia con l’accusa di terrorismo (tra cui Toni Negri), e poi rivelatisi innocenti. Insomma, una supercazzola prematurata come se fosse Antani, ed invece era tutto falso.

Quando uscì sui giornali in prima pagina a nove colonne la notizia con le foto dell’arresto, con Tognazzi e i suoi baffi di Sego tenuto da due carabinieri coi baffoni d’antan, l’Italia cadde dalla sedia come il Presidente Gronchi alla Scala, a fianco di De Gaulle, che Tognazzi si era permesso di parodiare con Vianello, decretando così la fine del citato fortunato programma. Uomo della provincia padana, non aveva il blasone del poeta della Baggina, ma a differenza sua non tentò nemmeno di fuggire in tram, e la sua anima accesa non mandava luce di lampadina ma profumo di mostarda: nelle foto che lo immortalano ammanettato, si offre con orgoglio ancora chiuso nel suo grembiule da cucina e col pugno chiuso alzato. Non fece opposizione, ma non mancò di rivendicare il diritto alla cazzata.

Per la parte dell’Italia chic fu uno choc, gli anni ’80 erano alle porte e lo sbum già realtà, i bronzi di Versace figli di papà già capaci di giocare in borsa e di stuprare in corsa, naturalmente griffati, ne approfittarono per preparare il cambio di scena, di abiti e di costumi, il salto nel nuovo mondo dei realities e dei liftings. Il ritmo del sirtaki lasciato in fondo al mare per affidarsi al ritornello “the freak c’est chic”. Mi ricordo che ci fu una sorta di sommossa popolare guidata dall’allora Sindaco di Cremona, sconvolto dall’idea di poter perdere una delle 4 T della città (Turòn, Turàs, Tetàs e Tugnàs), che allora valevano molto di più delle 3 stelle Michelin e delle 5 stelle d’hotel (mentre quelle grilline erano ancora in Francia in attesa di Rousseau, e la stella di Negroni faceva già corsa a sé in mezzo a tante stelle, milioni di milioni, vuol dire qualità).

Si fece di tutto per coprire lo scandalo, e alla fine l’inchiesta finì nelle mani del Procuratore Raffaello Mascetti che, grazie ai depistaggi di una spia dei servizi segreti, nome in codice Cippa Lippa, riuscì a far convergere ogni responsabilità sul povero Renato Curcio il carbonaro, che stava già in cella pur senza aver mai ammazzato nessuno e senza aver partecipato a nessun omicidio, nè senza aver mai provocato direttamente spargimenti di sangue o di detersivo. Così vanno le cose in Italia.

La storia di Ugo Tognazzi è la storia di un’Italia in cui la comunicazione viene falsata a favore della casta, in cui i potenti amici dei tuoi amici sono amici miei, è la capitolazione della giustizia popolare di fronte al complotto ordito dai media manipolati dagli uomini d’affari, di scienza e di cultura a proprio vantaggio e profitto. Nonostante l’arresto con tanto di pugno chiuso esibito, Ugo Tognazzi continua ad essere ricordato come attore e non come pericoloso brigatista, capo di un’organizzazione che per anni ha seminato il terrore in Italia. Insomma, l’ennesima storia di una rimozione collettiva per coprire le èlites, mentre tante persone oneste e lavoratrici spesso finiscono in galera perchè costrette ad infrangere la legge per necessità, per sopravvivere. La casta se la spassa, mentre la gente “normale” non arriva a fine mese, e lo stato cheffà? Ci fosse Tognazzi, accorcerebbe i mesi.

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