Gianni Rodari scriveva “ Se io avessi una botteguccia fatta di una sola stanza vorrei mettermi a vendere sai cosa? La speranza”. Mai, come in questo momento storico, se c’è qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno è di avere segni di speranza da prendere come stelle polari da seguire in questo mare in tempesta. E cosi, quasi sottovoce, ecco comparire all’orizzonte di noi italiani un piccolo simbolo che racchiude dentro di sé una storia di 100 anni. Il 26 ottobre 1920 veniva, infatti, fondata a Genova l’unione italiana Ciechi e Ipovedenti e, per festeggiare questo importante compleanno, il Ministero dello Sviluppo Economico ha ordinato, all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, di emettere un francobollo ordinario appartenente alla serie tematica “il Senso civico”.
Il viluppo è strutturato con una serie di elementi decorativi e raffigura, in grafica stilizzata, un occhio a destra, del quale, è riprodotto il logo della Unione italiana Ciechi e Ipovedenti
Nel mondo dei super eroi, quando si affronta il tema della disabilità legata alla cecità, il personaggio di riferimento si chiama Daredevil ed è un personaggio che, proprio grazie alle sue peculiarità, risulta un esempio civico positivo per giovani ed adulti perché testimonia che lo sguardo che veramente occorre, per vivere veramente la vita con speranza, è quello del cuore.
Per apprendere questo “super potere” l’Unione italiana ciechi ha realizzato, col patrocinio del Comune di Torre Boldone, diverse iniziative che l’Assessore alle Politiche sociali (avvocato Vanessa Bonaiti) racconta attraverso una intervista. Si tratta di un’esperienza umana e istituzionale derivante dal rapporto con questa importante associazione. Dalle sue parole emerge sempre più la grande ricchezza che questa associazione è per tutta l’Italia perché ci ricorda la verità di una delle citazioni più famose del libro Il Piccolo Principe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Se faremo nostro questo “sguardo di speranza” avremmo allora la grande opportunità di diventare, proprio come i nostri concittadini non vedenti, dei Daredavil capaci di vivere la quotidianità, anche faticosa, come opportunità.
- Qual è l’esperienza che ha toccato maggiormente il suo cuore pensando alla collaborazione con la Unione italiana Ciechi e Ipovedenti sul territorio di Torre Boldone?
“Innanzitutto grazie di cuore per avermi dato la possibilità di esprimere alcuni pensieri in merito a tale argomento, ma è doveroso per me precisare di non avere la presunzione di essere considerata un’esperta in materia. Per quattro anni ho avuto l’onore di essere Presidente della Fondazione ISB e di aver potuto toccare con mano, seppur indirettamente, l’esperienza della disabilità. In particolare, quella che investe l’udito e che rende certamente molto difficile la vita quotidiana. Quel ruolo, però – aggiunto a quello di assessore ai Servizi Sociali di un Comune della Bergamasca – mi ha dato l’opportunità di conoscere un po’ anche il mondo dei non vedenti. Ho partecipato ad alcuni incontri formativi e a delle cene al buio che mi hanno “obbligato a vedere” il mondo da un’altra prospettiva. Ho “visto” il mondo con l’olfatto, col tatto, col gusto. Ho percepito l’intensità di una pietanza sulla quale gli occhi non si erano posati prima e nei confronti della quale non avevo potuto farmi alcuna idea. Insomma, in generale ho capito realmente quanto, a volte, il primo impatto visivo possa essere estremamente fuorviante! Dovremmo sempre andare oltre all’immagine: riflessione spesso ripetuta, ma difficilmente messa in atto.”
- Nei fumetti della Marvel il personaggio di Daredevil è un avvocato e anche lei svolge questa professione: come il rapporto con l’Unione italiana ciechi ha aperto il suo sguardo anche a livello professionale?
Indubbiamente esperienze formative nel mondo del sociale importanti come le predette hanno fortemente influenzato il mio modo di vivere il lavoro. Fare l’avvocato è indubbiamente un mestiere che mi serve per mantenermi e crearmi un futuro stabile. Però, però non ti limiti a “fare” l’avvocato: si “diventa” avvocati e “si è’” avvocati. C’è qualcosa che ti porta ad intrecciare la sfera professionale e quella umana. Forse ancor di più per chi come me è specializzato in penale. Non significa “condividere” o fare propria l’esperienza del cliente e tantomeno giustificare certe azioni: significa sforzarsi di comprendere l’altro con lo scopo di diventare il più obiettivo possibile prescindendo dalle presunzioni. A prima vista le cose non sono mai del tutto come sembrano: direi che il richiamo all’argomento precedente si crea spontaneamente. Quindi, alla tua domanda se tutte queste esperienze abbiano in qualche modo “ mutato” la mia vision professionale, non posso che rispondere positivamente”.
- Le persone non vendenti ogni giorno incontrano difficoltà che affrontano con l’intelligenza dello “sguardo del cuore”; a livello istituzionale come pensa che questo “sguardo di speranza” potrebbe essere diffuso a livello cittadino in risposta anche alla comprensibile frustrazione che tante persone stanno vivendo in questo momento storico legato all’emergenza Covid 19?
“La tua terza domanda è particolarmente complessa però: non è facile far comprendere davvero a chi vive un momento di forte difficoltà e frustrazione che c’è sempre chi sta peggio e- nonostante tutto- va avanti. Siamo egoisti tanto quanto fortunati se pensiamo ad un confronto tra le nostre difficoltà quotidiane ( più o meno gravi ) e quelle di chi vive un costante e importante disagio fisico perdurante. Sarebbe utile chiedere alle associazioni di riferimento di organizzare ( non appena possibile) più cene al buio per esempio, onde aiutare chi “vede” con gli occhi a “vedere” con tutti i cinque sensi. Sarebbe bello che le persone sentissero il bisogno di andare oltre il proprio quotidiano, sforzandosi di capire che vi è ben altro all’orizzonte. Di certo, tutti noi dovremmo diventare consapevoli che gli uni dagli altri si può sempre imparare qualcosa”.