Qualcuno dirà che è presto, qualcuno dirà che è cinico e qualcuno fingerà semplicemente di ascoltare ignorando questa proposta da ignavo quale è. Prendetela come volete, anche come una provocazione se vi pare. Ma ci sono dei fatti e questi portando necessariamente a delle conseguenze.
I fatti, anzi, il fatto principale, da cui dipanano come in una matassa ingarbugliata mille eventi minori, è la pandemia. La prima vera pandemia che colpisce dopo esattamente un secolo l’intero pianeta — escludendo l’incursione dell’influenza asiatica che ha lasciato di sé una piccola memoria ad esempio nei miei genitori — sconvolgendo le vite e l’economia di tutte le diverse comunità umane a decine di migliaia di chilometri di distanza tra loro. Non proprio un evento di poco conto. Inutile ricordare la recente cronaca, il virus si diffonde da Wuhan in Cina e colpisce, per primo in Europa e nell’Occidente, Bergamo. La prima città martire dell’Europa e dell’area atlantica.
Questo tragico evento ha portato alla nostra città una celebrità inattesa e indesiderata. Fino a febbraio provenivo da: a beautiful city near Milan, 50 km far from Milan oppure where there is one of the three airports of Milan. A volte per tagliarla corta era Milano e basta. Oggi appena dici Bergamo tutti sanno dove è e ti chiedono con curiosità e paura come sono state quelle settimane. I mezzi dell’esercito in fila carichi di bare li hanno visti tutti, dappertutto.
L’emergenza sanitaria per la pandemia finirà, forse non questo autunno, speriamo la prossima primavera. Comunque è certo finirà, basta scorrere gli almanacchi della Storia. E quando gli abitanti del mondo che se lo possono permettere — e sono tanti credetemi — torneranno a viaggiare, sapranno esattamente dove siamo e saranno curiosi di conoscere questo borgo medievale magnificamente conservato, appena sfiorato dalle rotte del grand tour internazionale. Chiunque venendo a Bergamo, anche solo di passaggio per un’altra destinazione, si ricorderà che questa è stata la prima città martire della cinese.
E cercheranno delle testimonianze, una memoria, un luogo, un museo, uno spazio che li colleghi a quella tragica pagina del nostro recentissimo passato. Per portarsi a casa il ricordo e una sensazione, un’emozione. Ovviamente non c’è un ground zero e forse non ci sarà mai un memoriale — penso chiaramente all’esperienza che ancora oggi trasmette visitare i luoghi dell’11 settembre 2001 a New York — ma i fatti restano fatti e sono avvenuti davvero. E sta a noi custodirne la memoria per poi ricordarne la Storia.
A Bergamo dicono che il sindaco sia un uomo di immagine, di comunicazione, di marketing. Sicuramente professionalmente viene da quel mondo e magari può cogliere meglio di altri il senso di questa considerazione. Quando il mondo tornerà ad affacciarsi ai bergamaschi, come sapremo raccontargli la nostra terribile esperienza? Perché sia utile a noi per lenire il dolore e a loro per conoscere quanto, nonostante tutta la tecnologia che ci portiamo addosso, siamo ancora così fragili. Dopo il lutto, c’è la memoria.