Biondi immobiliare

Le Baccanti è l’ultima delle tragedie di Euripide (403 a.C.). Poco dopo il grande drammaturgo sarebbe morto. Dopo drammatici eventi il teatro vivrà nella Commedia, in una polis cambiata. Dioniso, nato dall’unione di Zeus con la mortale Semele ritorna a Tebe. Qui Giove l’aveva sottratto alla madre. La venuta del dio crea scompiglio. Il suo culto si ravviva, il furore prende le donne che fuggono sul monte Citerione a celebrare i riti del dio. Si oppone a questo disordine il re Penteo. Non è d’accordo con un culto che attinge all’irrazionale. Non accetta questi misteri venuti dalla lontana Asia, diffida dello strano personaggio che porta una maschera e si presenta come inviato del dio secondo le sue parole “Dioniso stesso mi ha inviato, il figlio di Zeus”. Penteo lo ritiene invece un demone cattivo. I vecchi saggi Tiresia e Cadmo propongono una mediazione. Sollecitano il re ad accoglierlo: non vale forse la pena avere un altro dio in famiglia? Per Penteo invece questo culto è da combattere, mina l’ordine della città, Dioniso è un dio che scioglie i legami (lùo). Il furore di Dioniso sta in realtà contagiando lui che se la prende con Tiresia e con un calcio rovescia l’apparato degli oggetti sacri.

Che sia preso, messo ai ferri quel forestiero acconciato da femmina!” E la guardia che conduce Dioniso a mani legate, come una preda, davanti a Penteo, racconta: “da sé ci ha teso le mani, con noi si è dimostrato mansueto. Sorridendo ci ha invitato a legarlo”. Impotente da potente il dio agisce. La confusione ha preso la guardia stessa alla cattura: “Ero confuso. Se ti arresto, gli ho detto, non lo faccio da me, eseguo un ordine”. Il prigioniero libera, come le donne baccanti messe in catene su ordine di Penteo: le catene sono cadute da sé, e libere sono corse di nuovo alla montagna.

Penteo e Dioniso, l’uno di fronte all’altro, ma è Dioniso che getta la rete. Parla Penteo: “Nell’insieme, forestiero, non sei mal fatto, almeno per piacere alle donne. I capelli li hai lunghi, certo non da lottatore e i riccioli ne fanno una cascata che scende sulla guancia, e in cui si annida seduzione e desio”. Il desiderio urge. Il re ha desiderio di conoscere e soprattutto di vedere. Penteo vuol vedere le Baccanti. La curiosità lo spinge ma è desiderio di vedere ciò che non si può. Intanto tra i due cadono le barriere. “Vuoi vedere le baccanti riunite sulla montagna?” “E’ quello che più voglio, darei oro senza misura. Le voglio vedere senza farmi sentire, stando all’ombra degli abeti”.

Per vedere le Baccanti deve mascherarsi, come lui, il forestiero che è davanti. Dovrà vestirsi da baccante. “Mettiti una veste di lino”. “Come? Da femmina? Ne avrei troppa vergogna (aidòs)”. La sua immagine ne verrebbe macchiata: “Che? Per passare nella schiera delle donne?” Penteo oscilla. La sua identità vacilla. Passa continuamente da istinto a razionalità, tra inganno e realtà.  Dioniso veste Penteo, gli mette una parrucca, una tunica lunga fino ai piedi, un nastro sulla fronte che recinga i capelli, un tirso in mano. “A vederti così, da capo a piedi, assomigli in tutto a tua madre, figlia di Cadmo”, dice Dioniso ammiccando al pubblico, “guardate come l’ho ridotto”.

Il vestito finisce per essere il personaggio. Un’identificazione tra i due che per Penteo diventa allucinazione. Ancora a Dioniso: “Tu cammini davanti a me in forma di toro e sul capo è come se ti fossero nate le corna. Anzi è sicuro, sei un toro”.  Che era l’animale di Tebe. In risposta Dioniso: “E’ il dio che ci accompagna, prima non era benevolo, ora ha fatto pace”. C’è un’intesa, una fusione. “C’è un ricciolo lì che non è a posto” “Te lo rimetto a posto; sono io che ho cura di te” “Sì aggiustamelo tu, io sono in tutto nelle tue mani”. Penteo è nella rete del dio. I due si avviano alla montagna.

Tra i rami di un pino fece sedere Penteo” racconteranno i messaggeri ad annunciare la triste sorte toccata al re. “Prima a piombargli addosso fu la madre che ministra del rito diede inizio all’uccisione. Oh Agave! infelice Agave! potesse riconoscerlo e non lo uccidesse!” “Penteo rientrato in se stesso, gettò via dalle tempie la maschera affinché lo riconoscesse e non lo uccidesse. Sfiorando le sue guance disse: sono io, madre, tuo figlio Penteo che hai generato nella casa di Echione. Abbi pietà, o madre! non ucciderai il figlio tuo per i suoi errori?” Penteo è fatto a pezzi come lo stesso Dioniso, il dio smembrato dai Titani e rinato nel ventre di Semele. Tale è la sorte a chi si oppone al suo culto.

Quale allora l’ultima parola di Euripide? Forse che l’uomo deve vivere nella sua misura, fuori non c’è salvezza.

Sintesi della relazione di Mauro Messi
VEDERE E’ SCOPRIRSI ALTRO. UNA LETTURA DELLE BACCANTI DI EURIPIDE
Bergamo, Auditorium Liceo Mascheroni, 4 febbraio 2025 
all'interno del Programma Noesis 2024/2025

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