Mi soffermo su una vicenda di inquisizione, ricostruita dagli archivi della Repubblica veneta, con il titolo la Finzione di Maria, romanzo di Fulvio Tomizza, scrittore istriano: la storia parte da Zorzone. Ho voluto ripercorrere i luoghi che attraverso la Val del Riso la protagonista, Maria Janis di Colzate, aveva percorso più volte per un amico del padre, un prete di quella frazione di Oltre il Colle. L’accusa di eresia fu formulata dall’inquisitore di Venezia.
Quando si recava lassù Maria seguiva la via che collegava la Val Seriana alla Val Brembana, prima attraversando Gorno poi raggiungendo Oneta. Qui era entrata nella Chiesa dell’Assunta, che da poco ha festeggiato i suoi mille anni di costruzione, e si era soffermata in preghiera davanti alla pala del pittore albinese G. B. Moroni che il Cardinal Borromeo in visita pastorale aveva giudicata “decente e di bella fattura” e tuttora ammirata per la caratterizzazione degli apostoli e la gamma di colori usati, vivaci e armonici.
La strada a Oneta si fa largo prima tra case signorili, poi più dimesse, supera la piazza con il Monumento al minatore e alla taissina – la donna aveva il ruolo di cernita del minerale – e prosegue fuori dall’abitato con lo scenario dell’Alben rigato dai canaloni innevati.
In che consisteva l’eresia in quegli anni di metà Seicento? Don Pietro Morali, questo il nome del prete di Zorzone, confermò davanti al giudice inquisitore che la detta Maria “aveva il privilegio di vivere con la sola comunione”. E lo ribadiva con certezza: perché meravigliarsi del prodigio? Non era forse lecito attendersi una tale forza dal “pane degli angeli”, l’Eucarestia, presenza di Cristo, dogma che la Chiesa cattolica aveva tanto sostenuto e propagato con processioni e tridui contro l’eresia protestante?
Su quell’antica via mercatorum, in località Scullera, si devia per il Santuario della Madonna del Frassino. Maria che era di famiglia poverissima, vi si era fermata quando si era recata l’anno precedente dalle suore domenicane di Serina per chiedere di essere ammessa, ricevendone un rifiuto dati gli insufficienti mezzi della famiglia. Si era immedesimata nella storia della ragazza dell’apparizione, anche lei tormentata e sofferente di una malattia agli occhi e che la Madonna aveva confortato e guarito. C’era probabilmente un dipinto raffigurante la giovane in preghiera e con il fazzoletto insanguinato, e l’aveva colpita più del polittico dell’altare maggiore, una Visita di Maria a Elisabetta del pittore Gerolamo da Santacroce.
Sul magnifico sagrato dove l’erba si è trasformata in indistinto e arido tappeto oggi occhieggia qualche coraggiosa margherita vogliosa di far festa ad un sole così dolce.
Don Pietro che nel paese aveva fama di santo e guaritore era diventato il suo direttore spirituale. Si era creato un sodalizio con altri fedeli, tollerato dalla gente ma malvisto dai preti della zona. Una notte Pietro e Maria partirono da Zorzone insieme a un terzo, un certo Pietro Palazzi. La meta in un primo tempo fu Roma. Due anni dopo si trasferirono a Venezia nel sestiere di Cannaregio. C’erano tanti paesani su cui far conto. Poi i due restarono soli.
Facevano vita riservata e presto attirarono i sospetti della vicina. Da una fessura questa aveva osservato una strana celebrazione eucaristica. Scossa nella coscienza lo rivelò al confessore. Come si appurò nel processo, la donna teneva nascosto nel seno una scatoletta con dentro alcune particole “consacrate” da dove l’uomo, don Morali, con tanto di genuflessione e un sommesso recitar di orazioni, prelevava la particola e faceva la comunione alla donna.
Ci fu un regolare sopralluogo e quindi l’arresto. I due furono tradotti alle prigioni di Palazzo Ducale. Più che una tresca d’amore la cosa apparve una equivoca confraternita religiosa. Le lotte religiose non si erano ancora spente, la tolleranza religiosa ancora lontana. L’inquisitore indagò e interrogò, alla fine emise la sentenza: giudicava il caso della ragazza di Zorzone una finzione. Confusi erano i principi cui si ispiravano, finzione la pretesa santità di Maria, dolosa la condotta del sacerdote. In grave sospetto di eresia furono costretti ad abiurare, inginocchiati davanti al libro aperto del vangelo e con la candela accesa in mano. Si era nel 1663, dopo 14 mesi di interrogatori e indagini. La pena fu di cinque anni per il prete Morali, per lei la detenzione indeterminata a discrezione del Sant’Uffizio. Se per lui tra sconti e suppliche di amici e confratelli una possibilità di riscatto si aprì, di lei non si seppe più nulla. Era una donna.
La strada superato il Colle di Zambla entra nella meravigliosa conca dell’Arera, ricca di prati e pascoli. Per giungere a Zorzone si scende da Oltre il Colle, fuori dal principale percorso stradale. Sarebbe un incanto se tutto si potesse svolgere lì, ai piedi del Menna. In altri tempi dava da vivere a più di 600 persone. Da ragazzo don Pietro soleva condurre le sue bestie al pascolo. All’arrivo della corriera da Bergamo un pulmino porta i pochi studenti e gli occasionali passeggeri a destinazione.
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