Oltre la Goggia indicava sotto la Repubblica veneta l’area del secondo ramo del Brembo proveniente da Branzi e confluente a Lenna con il ramo che viene da Olmo e da Passo San Marco. La parte dell’Oltre la Goggia che ha come laterale la Val Secca aveva un trattamento di favore perché anche di qui si passava in Valtellina.
Nel pianoro di Lenna c’è una zona industriale con diversi capannoni dove tra l’altro s’imbottiglia l’acqua Stella alpina“, zona che fu voluta più dai politici ed ora dissanguata” mi dice un pescatore al laghetto di Bernigolo che dalla Bassa risiede qui da Pasqua ai primi freddi. “C’è pace e io mi diverto a pescare. L’invaso è trascurato. Avrebbe bisogno di una bella pulita. I temporali estivi portano giù di tutto e rimane la fanghiglia. Una volta c’era una ruspa apposta. Lo scorso anno era uno spettacolo desolante quando per la crisi idrica è stato svuotato”.
Si parla di paesaggio mutato come si vede nelle vecchie cartoline: “i prati erano dovunque e qua e là qualche casolare o fienile. Ogni casa teneva un paio di mucche e il suo manzöl. Era tutto pulito, niente si sprecava. Si rastrellavano le foglie per la stalla. Oggi il bosco si ingoia tutto.” Si può camminare intorno al lago. Sul lato in ombra il sentiero arriva alle case di Cantone. Muschio e felci ricoprono la roccia scavata, tra fiori e arbusti di ogni genere, con insetti e farfalle indaffarate. Si sente lo starnazzare delle anatre attorno alla macchia verde che si è formata al centro.
La strada asfaltata continua per quello che una volta si chiamava Ronco. Pare sia stato il Re a suggerire l’aggiunta bello. La frazione Bordogna è presto raggiunta ma i lavori di restauro della Chiesa che ha dipinti interessanti – alcuni del Ceresa – impediscono la visita. C’è una Natività del pittore di San Giovanni Bianco, bravo ritrattista, che riprende il Battista, non certo nell’aspetto del neonato. Appena partorito è accudito dalle donne di casa e di vicinato, mentre il padre Zaccaria in disparte si preoccupa di render grazie a Dio. Dall’alto, come chi sta affacciato ad una terrazza la Chiesa di Baresi ci attende.
Sulla strada il cartello invita a vedere il vecchio mulino, rilevato e restaurato dal FAI. Lungo il torrente la stradina sale fino allo slargo verde con fienile, il ponticello della mulattiera che porta alla frazione, la casa con la ruota di pietra fuori. L’acqua scorre e gorgheggia ma manca lo sbattere di pale, il vibrare della tramoggia o lo sforzo degli ingranaggi. C’è pace ma vien da pensare alla vita che si svolgeva attorno, capolinea di chiacchiere e maldicenze. Posto fuorimano, tra il selvatico e il nascosto, vi si respirava una certa aria di libertà. Passavano notizie, si incontravano facce nuove, vi facevano riferimento leggende e fantasie, con l’acqua vicina dove i corpi potevano scoprirsi più del dovuto. Dal sagrato della Chiesa di Baresi si abbraccia la vallata. Una lapide sul muro ricorda il sacrificio dei Fratelli Cattaneo, poco più che ventenni, tutti e tre morti nella Ritirata di Russia.
A Roncobello il martedì è giorno di mercato mentre gli ultimi avventori si affrettano. E’ mezzogiorno e gli operai che stanno sistemando il parco giochi spengono i macchinari in pausa pranzo. Nella chiesa sono in corso prove d’organo che è un Serassi. La chiesa è decorata, di colore roseo con il luccicante altare maggiore dalla tribuna di legno intagliato. La doratura è di G.B. Agosti di Lenna. E’ stato purtroppo impoverito da un furto, una ventina di anni fa, di statuette poi rimpiazzate da copie. In uno degli altari laterali c’è un quadro di Domenico Carpinoni, una Madonna del Rosario. Sono state restaurate da poco le statue policrome di San Pietro e Paolo che risalgono al Cinquecento.
Dopopranzo ci sta una breve escursione alla contrada Costa. Si scende al torrente e poi risale tra abeti fitti, spelacchiati in basso ma verdi sulle cime per contendersi la luce, giganti tanto che a guardarli viene il torcicollo. Siamo in terra di ex boscaioli, gente esperta a tagliare piante fin da quando Venezia si portava via dall’Alta valle più di 3000 tronchi l’anno. Bisognava raggiungere luoghi impervi come immagino vedendo sul Menna strisce di vegetazione rinsecchita ai quali la siccità appena trascorsa ha dato il colpo di grazia. Si portava l’attrezzatura, arrangiandosi di notte perché era inutile sprecare tempo ad andare e venire. La montagna risuonava di colpi di accetta e di tagli di sega e quindi il grido di avvertimento quando il gigante era per schiantarsi e la terra tremava. Il tronco veniva liberato dai rami e con l’arpione fatto scivolare a valle. La legna preziosa era usata per tutto, per il camino, la casa, la stalla, gli attrezzi, a barattare e rimpinguare le magre entrate.
La contrada si affaccia al sole e alla valle. E’ un borghetto di case con vicoli che si diramano, usci per lo più chiusi ma orticelli coltivati, giardinetti con rose o margherite colorate e le api che si agitano attorno alla lavanda. Un giovane arriva dalla chiesetta con lo zainetto. Penso allo studente che torna da scuola alle tre del pomeriggio e che da casa se n’è andato alle sei del mattino.
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