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La Chiesa di S. Alessandro in Colonna è collocata in una zona della città che ancora oggi ha mantenuto una vivacità che le viene dalla sua storia. La Parrocchia S. Alessandro (ora l’omonimo quartiere) comprendeva fino all’800 ciò che poi sono diventati la Parrocchia di Loreto (1850), S. Tommaso, S. Lucia o Tempio Votivo (1950), S. Paolo (1970), per non parlare di Grumello, Villaggio degli Sposi, Longuelo. Era al crocevia di importanti strade che portavano a Milano e a Como.  La Chiesa, successiva a quella di S. Leonardo, prima chiesa di città bassa, era stata costruita in omaggio a S. Alessandro, patrono di Bergamo, come le altre tre. La più importante che un tempo si trovava appena fuori la porta omonima di Colle Aperto, fu abbattuta per costruire le Mura Venete. A nulla valsero le petizioni degli abitanti. Era una parte vulnerabile. La Serenissima inviò una truppa a presiedere alla demolizione. La seconda Chiesa dedicata a S. Alessandro è quella di Pignolo, più decorata e più ricca. La terza è l’attuale Duomo. Ormai si era imposto come patrono a scapito di S. Vincenzo.


Le notizie che abbiamo di Alessandro parlano di un militare, appartenente alla Legione tebea, decapitato sotto l’imperatore Massimiliano e sono dovute a racconti medievali, dette “passiones”. Questi racconti presentano il Santo nelle vesti dell’autentico seguace di Cristo usque ad mortem, fino alla morte: come Gesù preso, processato, condannato, giustiziato, un esempio di fede per il credente. La devozione al S. Alessandro si diffondeva lasciando tracce nello sviluppo urbano verso il piano, nei borghi che si formavano. La Chiesa fu detta in Colonna per la presenza della bella colonna, forse ricuperata da qualche tempio o edificio delle vicinanze. Originariamente la chiesa si protendeva in avanti, come si può indovinare dal profilo delle case che salgono dalla Piazza della Legna ora detta Piazza Pontida. Agli inizi del ‘700 fu rifatta nella forma attuale. La facciata fu arretrata lasciando lo spazio del bel sagrato che sembra una balconata sulla strada. Dall’altra parte, verso l’altare, fu allungata creando l’ampio transetto con i due altari, la cupola sovrastante, il piano rialzato dell’altare e il coro. Nella costruzione si dovette tener conto del terreno su cui era posta e delle infiltrazioni d’acqua che anche oggi pongono problemi in varie zone di Città Bassa.

Perché rifarla? Ovviamente veniva incontro alle esigenze di un borgo cresciuto. Seguiva i canoni del Concilio di Trento (1563) che promuoveva una liturgia per il popolo. Le Cattedrali medievali avevano la cripta dove riposavano le spoglie del Santo cui era dedicata e al fedele era concesso, anzi invitato a scendere sotto, ma a fermarsi dinnanzi lo scalone che accedeva al presbiterio, luogo dei presbiteri cioè del clero, all’altare dove si celebrava il rito. Invece il Concilio di Trento inaugurò un’altra liturgia, teatrale, intensa, sensibile, per il popolo, per muovere i fedeli, commuoverli, raggiungerli non solo con le preghiere ma anche con la magnificenza dei paramenti, l’odore dell’incenso, il racconto delle tele, il colore degli stucchi, la vivacità delle sculture. Dai pulpiti, ben evidenti al centro della navata, il predicatore faceva risuonare la parola che infervorava e istruiva. Non mancava la musica esaltata dall’accompagnamento dell’organo che qui troviamo raddoppiato sui due lati, fattura della famiglia Serassi. Ai lati si ricavarono cappelle il cui servizio liturgico era sostenute da famiglie benestanti del borgo.

La chiesa di S. Alessandro in Colonna ha opere di notevoli artisti locali: il Talpino (Enea Salmeggia), il Cavagna, lo Zucco. Campeggia al centro dell’altare maggiore Il martirio di S. Alessandro (Salmeggia). Si tratta più che di una situazione tragica di una serena celebrazione del martire-eroe. Nel secondo altare a sinistra ci sono opere di Ponziano Loverini, pittore della fine ‘800 che risponde ai rivolgimenti sociali del tempo con una tranquillizzante San Giuseppe al lavoro sotto lo sguardo benevolo di Maria e Gesù. Ci sono opere di Longaretti (terzo altare a sinistra) che pur esprimendosi al meglio nelle scene di viandanti emaciati rende senza stonature un insolito Sacro cuore. C’è il Balestra (Ester e Abigail, 1731). Ci sono i lavori del 1621 commissionati insieme ai tre pittori locali: il Cavagna (Miracolo dei fiori nati dal martirio di S. Alessandro, con una visione di Città alta cinta dalle Mura venete da poco completate), lo Zucco (S. Grata che presenta al padre i fiori sbocciati dal sangue del martire), il Salmeggia (Posa della prima pietra della Chiesa).

La sacrestia merita una visita a parte per le opere contenute: il Moretto (La vergine che adora il bambino), il Lotto (Compianto del Cristo morto, una scena di partecipata evocazione), il Romanino (l’Assunzione della Madonna, in cui si nota l’apostolo in ritardo che corre, si scopre il loculo ma questo è vuoto). Da ultimo, non senza meraviglia, uno sguardo ai paramenti sacri: la tovaglia dell’altare in fino broccato, le pianete per i vari tempi liturgici ricamate con filo d’oro, i piviali ricuperati dalle sete che da Lione giungevano alla Fiera di Bergamo. Erano veicoli del sacro e a ciò contribuivano il colore, la fattura, la preziosità, le scene, i simboli.


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