Cartesio nacque il 31 marzo del 1596 a La Haye in Francia nella regione della Turenna. Il nonno era un medico, il padre un avvocato di Parigi che nel 1585 acquistò la carica di consigliere del Parlamento di Bretagna.
Il bambino, prese il nome di René e come accade in tutte le famiglie nobili (e vista la prematura morte della madre) venne affidato ad una balia che si prese cura di lui con affetto e che riuscì pure a sopravvivergli. Il piccolo non godeva di ottima salute: il costante pallore e la frequente tosse secca facevano pensare ai medici che non sarebbe vissuto a lungo. Frequentò il collegio di La Flèche, fondato da Enrico VI nel 1603 e assegnato ai gesuiti. I corsi prevedevano tre anni di studio della grammatica, tre anni di studi umanistici e tre anni di filosofia (anche se si insegnava soltanto la filosofia Aristotelica la dedizione verso questa disciplina era attestata dal fatto che alla fine della lezione il professore si metteva a disposizione dei suoi allievi per chiarire ancora i punti rimasti in ombra).
Ciò nonostante Cartesio si mostrerà deluso dell’insegnamento ricevuto: «Sono stato allevato nello studio delle lettere fin dalla fanciullezza, e poiché mi si faceva credere che con esse si poteva conseguire una conoscenza chiara e sicura di tutto ciò che è utile nella vita, avevo un estremo desiderio di apprendere. Ma non appena ebbi concluso questo intero corso di studi, al termine del quale si è di solito annoverati tra i dotti, cambiai completamente opinione: mi trovavo infatti in un tale groviglio di dubbi e di errori da avere l’impressione di non aver ricavato alcun profitto, mentre cercavo di istruirmi, se non scoprire sempre più la mia ignoranza» Oeuvres, VI p. 4.
Raggiunta la maggiore età, con una salute recuperata e il desiderio di conoscere cose nuove, Cartesio si arruolò volontario nell’esercito francese. Ma l’entusiasmo venne meno quando scoprì di avere a che fare con compagni ignoranti e volgari. Tuttavia quel soggiorno si rivelerà importante per l’incontro casuale con il medico Isaac Beeckman col quale strinse un’amicizia (seppur contrastata) che orienterà gli interessi di Cartesio verso le scienze matematiche e che fu determinante nel plasmare il pensiero del filosofo.
Nel 1619 Descartes s’imbarcò da Amsterdam per Copenaghen: le sue intenzioni erano di visitare la Danimarca, la Polonia e l’Ungheria, per raggiungere la Boemia, ma rinunciò al lungo viaggio per dirigersi a Francoforte, dove il 27 agosto assistette all’incoronazione di Ferdinando II. Lasciato l’esercito, nel 1622 tornava presso la famiglia a Rennes per poi trasferirsi a Parigi. Rinunciò definitivamente alla carriera militare e mantenendosi grazie alle rendite provenienti da possedimenti fondiari, poté dedicarsi interamente agli studi filosofici e matematici. Uno stile di vita che poté mantenere per tutta la vita. Dopo un breve periodo in Bretagna tornò a Parigi per poi trasferirsi in Olanda dall’amico Beeckman.
Fu in quel periodo, tra il 1637 e il 1642, che il suo genio produsse alcuni dei suoi più grandi capolavori come “Discorso sul metodo” e “Meditazioni metafisiche”. Opere che non furono accolte con favore in ambiente accademico tanto che all’Università di Utrecht la filosofia cartesiana venne criticata e condannata. Desiderosa di approfondire i contenuti della sua filosofia (ciò che catturò principalmente la sua attenzione fu la teoria delle passioni) la regina Cristina di Svevia, sua discepola, lo invitò a Stoccolma. Ma furono l’inverno svedese e probabilmente le lunghe passeggiate all’alba, durante le quali il filosofo discuteva filosoficamente con la regina, a minarne il fisico e a determinarne la morte l’11 febbraio del 1650 a causa di una brutta polmonite.
La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano non tardò a venire, con la messa all’ indice nel 1663 delle sue opere che vennero bandite come moralmente e socialmente pericolose. Secondo Il filosofo tedesco Theodor Ebert (1939-) confermato da altri studi, Cartesio morì non per una polmonite, ma per un avvelenamento da arsenico. Pare infatti che lo stesso Cartesio, forse sospettando un avvelenamento, poco prima di morire avesse chiesto un infuso di vino e tabacco, bevanda che serviva a vomitare. Cartesio potrebbe esser stato avvelenato con un’ostia della comunione intrisa d’arsenico dal padre agostiniano, François Viogué, frate francese inviato dal Papa Innocenzo X a Stoccolma come missionario apostolico per convertire al cattolicesimo la regina Cristina di Svezia, come poi avvenne nel 1654. Ma nonostante l’interesse suscitato riguardo all’ipotesi di avvelenamento la maggior parte degli studiosi si mostra assai scettica. Dubbi confermati dalla circostanza che gli amici che nelle ultime ore assistettero Cartesio osservarono un sintomo non compatibile con l’avvelenamento da arsenico: la febbre alta. Infine a rendere poco credibile l’ipotesi di avvelenamento sarebbe stato il fatto che lo stesso presunto avvelenatore, Vioguè, confessò e confortò Cartesio sul letto di morte dandogli l’estrema unzione.