Oggi è Sematic. Ieri era Indesit, prima ancora Italcementi. E i prossimi chi saranno? La delocalizzazione industriale sembra un cancro senza via di uscita. E la politica non sembra avere le contromisure adeguate: giusto qualche dichiarazione di circostanza ma le proposte, per chi si sente dire da un giorno all’altro ” vado in Ungheria perché ho meno costi“, stanno allo zero assoluto. Ora, sembra una banalità ma tutti noi oggigiorno facciamo scelte simili ai dirigenti di quei gruppi industriali all’interno dell’economia domestica di ogni famiglia.
Chi non ha mai acquistato online, oppure privilegia la grande distribuzione rispetto al negozio di paese per il semplice motivo del prezzo più basso. È il principio dell’economia di mercato. L’interesse personale. Chissà quanti di noi negli anni tramite il solo online hanno decretato la chiusura di molte attività con connessi posti di lavoro. Il punto allora è un altro. Ossia la protezione del lavoro e non del posto di lavoro che sono due cose diverse. Se la politica vuole davvero fare qualcosa per situazioni del genere deve occuparsi del ricollocamento e della formazione di chi si trova in determinati contesti.
Sono anni che in Parlamento è depositata la proposta Ichino sulla Flex security e mai attuata. Certo servono investimenti e volontà politica di andare a dire alle persone che non è scritto da nessuna parte che devono fare lo stesso mestiere per tutta la vita. E si sa che la cosa non porta certo consensi elettorali. Continuare a considerare globalizzazione e il mercato globale come spauracchi da combattere (e quando lo fanno le forze politiche di destra è a dir poco assurdo e ipocrita) invece di trovare la maniera di guidare tale cambiamento in modo da riassorbire l’impatto occupazionale sui territori è il grande vuoto politico odierno.